No, not her.

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In un millesimo di secondo tutti i miei muscoli si irrigidirono, come una corda tesa che sta per essere spezzata. Sentii il mio sangue raggelare, mentre il battito del mio cuore rimaneva l’unico suono in sottofondo.

Qualcuno mi aveva visto, fu la prima cosa che pensai. Sentivo il panico pressare il mio corpo più di quanto lo facesse la forza di gravità.

In circa due secondi pensai a svariati modi per uccidere chiunque avesse assistito a quella scena, ma appena mi voltai stringendo le mani in due pugni rimasi di sasso.

Riconobbi all’istante il ragazzo a pochi metri da me.

Aveva le mani in tasca, l’aria assolutamente rilassata, cosa comprensibile guardando le sue spalle e il petto che si alzava e abbassava lentamente. Sorrideva sornione, come se avesse appena fatto una battuta imbarazzante, invece di aver assistito ad un omicidio.

Lo passai in rassegna, dalla testa ai  piedi, sperando che si dissolvesse da un momento all’altro e che fosse stato solo la mia immaginazione.

Perchè era impossibile che quello davanti a me fosse proprio Adam Baker, lo stesso ragazzo che partiva per New York da Stratford entusiasta di iniziare gli studi al college.

Se la prima volta che lo avevo visto mi era sembrato il tipico ragazzo che avrebbe potuto uscire con il massimo voto alla tesi di laurea, adesso l’impressione che mi suscitava era esattamente l’opposta.

I capelli che quel giorno erano ingelatinati in una cresta perfetta ed impeccabile erano ora arruffati in maniere disordinata. La sua espressione ingenua era stata sostituita da un sorrisetto arrogante, e un’espressione palesemente divertita.

Era vestito con dei jeans strappati, delle converse mezze rotte e una camicia a quadri aperta che lasciava vedere una maglietta bianca.

-Adam?- mormorai incredula più a me stessa che a lui, che ridacchiò avvicinandosi di qualche passo.

-Bel nome, peccato che quel bastardo di mio padre decise di chiamarmi Tom. Mi è sempre sembrato il nome di un cane, ma è questione di gusti.- disse con nonchalance scrollando le spalle.

Rimasi a bocca aperta, ma invece di chiedergli spiegazioni o infuriarmi con lui gli saltai addosso, prendendolo a pugni in faccia. Mi aveva appena visto uccidere un ragazzo e gettarlo in un fosso, non potevo rischiare che andasse a parlare, e in quel momento poco importava chi fosse davvero Adam, Tom o qualunque fosse stato il suo vero nome.

Lui non reagì subito, probabilmente sorpreso dalla mia mossa, ma quando si rese conto di essere in pericolo riuscì a buttarmi via e a mettersi a cavalcioni su di me.

Mentre cercava di bloccare le mie braccia alzai il ginocchio colpendolo nelle parti basse e rialzandomi. Mi guardai intorno cercando qualcosa da usare come arma, quando vidi una pietra poco lontano, abbastanza pesante da ucciderlo.

Corsi rapidamente prendendola tra le mani, mi girai di scatto e vedendo Tom che intanto si stava rialzando. Alzai il braccio per colpirlo ma mi colpì con una gomitata in pancia. Mi piegai in due lasciando cadere la pietra che si frantumò in diversi pezzi.

Schivai un suo pugno e riuscii a rimettermi dritta, ma a quel punto rimasi congelata al mio posto.

Tom stringeva tra le mani una pistola, puntata verso la mia testa.

-Fai un passo e sparo- disse tranquillamente, come se mi avesse invitato a prendere un caffè.

Rimasi a bocca aperta, sentendomi umiliata e confusa.

Non capivo perché diavolo avesse una pistola, né tantomeno riuscivo a ricollegare il ragazzo con cui avevo passato il viaggio di andata verso New York con quello che adesso si trovava davanti a me.

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