Good Job, Emily.

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Sarebbe bello poter dire che dopo quel giorno la mia vita iniziò a migliorare, che io cancellai Justin Bieber dalla mia mente e non lo vidi mai più, che andai avanti e riuscii ad essere felice, ma questa storia non è iniziata per essere bella.

Tutto quello che feci per una settimana fu rinchiudermi dentro casa cercando di non addormentarmi, e ogni volta che succedeva venivo risvegliata dagli incubi e correvo al bagno per vomitare, anche se non mangiavo più nulla, quindi tutto quello che potevo buttare fuori era sangue. Piangevo talmente tanto che faticavo persino a tenere gli occhi aperti, non avevo più nemmeno la forza per alzarmi.

Jayce non mi aveva più richiamata, forse si era reso conto di non avere bisogno di una ragazza distrutta, con problemi mentali e crisi suicide, aveva capito che anche un bambino di otto anni avrebbe avuto la meglio su di me visto che la mia forza era quasi inesistente, ma non potevo aspettarmi altro visto che non mangiavo e non avevo assolutamente intenzione di farlo.

Mi ero convinta che una chiamata avrebbe risolto le cose, ma purtroppo ogni volta che facevo un passo avanti cadevo tornando dieci metri indietro.

Rotolai nel letto rimanendo a fissare il soffitto, cosa che ormai faceva parte dei miei passatempi preferiti. Mi sentivo sospesa nel tempo, come se per me non ci fosse più posto in quel mondo dove tutti avevano qualcuno da amare, qualcuno da tenere stretto a sé quando le parole non bastavano e non servivano, una persona di cui fidarsi, qualcuno a cui racconti la tua giornata la sera prima di andare a dormire. Qualcuno che quando stai male viene a rimboccarti le coperte, qualcuno che si preoccupa per te.

Tutto quello che avevo io era un armadio pieno di ricordi, che svuotato di questi rimaneva vuoto e spoglio. Non sapevo se era meglio vivere in essi o lasciarli volare via.

Non sapevo più niente, l’unica cosa di cui ero certa era che il dolore mi stava divorando l’anima e il corpo, e prima o poi di me non sarebbe rimasto più nulla. Il mio cellulare squillò e lo afferrai immediatamente, guardando lo schermo per poi sentire un macigno salire fino allo stomaco quando vidi il numero di Fleur sullo schermo.

Era passato quasi un mese e non c’era minuto in cui il mio cellulare non squillasse per una chiamata sua, di Dan, di Derek o di Chaz. A volte avevo la tentazione di rispondere, di scoppiare ad urlare e piangere, gridare a mio fratello di venirmi a riprendere perché stavo morendo, perché ogni schifo di giorno soffrivo come se mi stessero strappando il cuore, ma questo avrebbe trascinato giù nel mio pozzo nero anche lui. Anche per questo me ne ero andata. Loro dovevano rimanere fuori da tutto questo. Loro avevano il diritto di essere felici, non potevano stare male solo perché io ero ormai rotta. Io non mi sarei mai aggiustata e non volevo condannare le uniche persone a cui ancora tenevo ad una vita così triste che non avrei scelto nemmeno per me se qualcuno avesse chiesto la mia opinione, cosa che invece non era successa.

Sobbalzai quando sentii qualcuno bussare alla porta. Mi immobilizzai nel letto senza nemmeno respirare, come se temessi che chiunque si trovasse davanti alla porta avrebbe potuto sentirmi. Rimasi in attesa rilassando con calma i miei muscoli quando tornò il silenzio, solo per irrigidirmi nuovamente quando stavolta fu il campanello a suonare.

Mi nascosi rapidamente sotto le coperte, mettendo la testa sotto il cuscino per non sentire il rumore insistente del campanello. Non capivo chi potesse volermi vedere, e non poteva nemmeno essere Jayce. Aveva detto che mi avrebbe chiamato e non lo aveva fatto, per cui non aveva motivo di venire lì. I miei pensieri furono interrotti da uno schianto forte e secco.

Alzai immediatamente la testa uscendo fuori dalle coperte per vedere che la porta era stata buttata giù, mentre due figure si avvicinavano correndo fino al mio divano letto. Iniziai ad urlare e a divincolarmi fino a quando non fui fermata.

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