CAPITOLO 19 Tom

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Tom venne portato, lo stesso giorno, nella base della Red Army.
Era ormai finita la giornata ed era rinchiuso in una cella. Le caviglie e i polsi erano legati da due paia di manette. Le mani cercavano ancora disperatamente di cacciare il liquido nerastro dagli occhi.

Tom era spaventato a morte; a questo punto avrebbe preferito essere morto, ma non abbandonato.

Nonostante l'odio profondo per il norvegese, lo ringraziava per averlo recuperato, anche se sperava in un suo compagno di battaglia.

Il castano stava seduto per terra. Il pavimento piastrellato pieno di crepe era lucido come se fosse appena stato pulito. Apposta per lui.

Era completamente buia la stanza, se non fosse stato per un leggero fascio di luce che illuminava la cella da sotto la porta. Non c'era neanche una finestra blindata per la luce del sole o il riflesso d'argento della luna.

Quando le lacrime si calmarono, il ragazzo si sedette su quello che doveva essere un letto, cioè una barra piatta di ferro con un cuscino pieno di macchie.

Il lettino cigolò quando Tom ci si sedette sopra. Non poteva fare niente se non pensare a cosa gli avrebbe fatto il Red Leader. Si passò una mano fra i capelli, nervoso.

Giurava di stare diventando pazzo, quando un'ombra si posizionò davanti alla porta.

Tom subito si alzò e se ne andò il più lontano possibile dalla porta. Rimase fermo contro il muro freddo e ruvido in fondo alla cella. Sentì delle voci, ma non riuscì a capire niente; la stanza faceva da eco a qualunque cosa. Le mani gli tremavano e facevano toccare gli anellini della catena che collegava i suoi polsi.

La porta emise uno scatto. Un altro e un altro ancora. Tom sobbalzò e rimase immobile, pietrificato. Due soldati entrarono nella stanza. Uno con un bastone per gli accalappiacani e l'altro con un fucile in mano. Il castano dovette socchiudere gli occhi per riuscire a vederli dopo tutto il tempo trascorso in quella gabbia buia.

Il primo si avvicinò al ragazzo, legandogli il collare al collo e prendendolo da un polso, mentre l'altro gli teneva l'arma puntata in testa.

Al castano uscì un ringhio minaccioso mentre venne portato fuori dallo stanzino. Non gli venne nemmeno dato il tempo di guardarsi intorno che dovette camminare come un pazzo per non prendere le tracce del soldato, e anche per non essere spinto dalla canna di quello di dietro.

L'ufficio del Leader era enorme. Proprio davanti a Tom si trovava un'enorme scrivania. Il legno levigato gli dava un'aria vecchia ed elegante. I muri ai lati erano ricoperti da mappe geografiche del territorio, quadri di generazioni passate e mobili pieni di libri e modellini.

Frammenti di vetro e legno ricoprivano il pavimento piastrellato bianco. Alla sua destra c'era un collegamento con un'altra stanza -probabilmente il soggiorno.

Tom era seduto su una sedia di fronte alla scrivania. I soldati lo avevano portato lì senza dirgli niente, ma sapeva che il Red Leader voleva scambiargli due parole. E come dice il detto "parli del diavolo e spuntano le corna", il fatto si realizzò in men che non si dica.

Il norvegese comparì dal collegamento con l'altra stanza, abbottonandosi la manica del cappotto blu con la mano robotica.

Non era cambiato per niente, se non fosse per le cicatrici sul lato destro del viso, il braccio robotico e l'occhio rosso.

In un primo momento Tom aveva pensato che era solamente un occhio di vetro, ma un'occhio di vetro può sprigionare rabbia, vendetta e morte? Può guardarti ogni minuscolo centimetro del tuo corpo maledicendolo? Può sembrare che voglia farti prendere fuoco?

Assolutamente no. Era il suo vero occhio.

Il Leader camminò con passo lento verso la scrivania, incrociando le braccia; sembrava imponente davanti al Leader.

<<Guarda un po' chi abbiamo qua stasera>> disse il norvegese <<di solito in questo posto non vengono i ragazzi>>

A Tom faceva quasi schifo sentirlo parlare. Non gli era mancato per niente.

<<Possiamo affrontare la questione pacificamente?>> chiese Tom quasi con ribrezzo ripensando alle parole del capo nemico.

<<Più pacifica di così>> alzò le spalle il Leader.

<<Ci hai appena dichiarato guerra!>> contestò Tom alzando il tono.
Il Leader gli si puntò contro, prendendolo per il colletto della camicia.

<<"Ci hai"? Tu non fai più parte di loro. Dimenticati di tutto quello che hai fatto là. Tu ora fai parte della mia armata. Aiuterai noi e, in caso contrario...>>

Tom gli prese il polso per allentare la presa. Guardarlo da più vicino lo fece rabbrividire dalla paura. Gli occhi non sembravano i suoi: erano spenti e conservavano la rabbia e il rancore degli anni passati.

<<Tord, devi riprenderti...non sei te e devi pensare a quello che stai facendo>>

Il Leader spalancò gli occhi. Tom sapeva che era da tanto che più nessuno lo chiamava col suo vero nome. Il biondo mollò la presa, quasi lanciandolo via, con lo sguardo perso nel vuoto.

<<Tutti hanno paura della guerra, stai facendo soffrire le persone col tuo modo di fare senza pensare alle conseguenze delle tue azioni. Devi tornare te: quello che faceva ridere tutti a casa, che scherzava e rideva con i suoi amici...>>

Il castano si bloccò di colpo. Il Red Leader stava sogghignando in una maniera inquietante. In un primo momento Tom sarebbe scappato via, ma era ammanettato e bloccato dalla paura sul posto.

<<Quindi, ora che sei qua e dopo un sacco di anni, tu mi stai dicendo...che voi eravate miei amici?>> domandò ironicamente il norvegese avvicinandosi pericolosamente a Tom fino a sfiorargli il naso con il proprio.

<<Non eri te quello che diceva che non ero tuo amico?>> sussurró con fare maligno e si mise a ridere.

<<Mi sa che, prima di fare qualsiasi altra cosa, classico stupido Tom, dovrei aprirti gli occhi con una leggera scossa>>

DOPO THE END~Eddsworld xReader~Where stories live. Discover now