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"Finalmente, Alma. Finalmente".

Non ricordava che Teresa avesse mai usato quel tono con lei. Era... soddisfazione? Sollievo? Gioia? Ad Alma, in fondo, non importava. L'unica cosa che aveva reale valore era che la sua direttrice non era arrabbiata.

"Vanno bene?" domandò, pur sapendo già la risposta.

"Sì. Finalmente abbiamo dei risultati. Questa volta il protocollo è stato seguito a regola d'arte".

Alma accennò un timido sorriso. "Grazie".

"Vedo che stai meglio".

Teresa aveva appena appoggiato i fogli stampati con i risultati sulla sua scrivania e intrecciato le mani sotto il viso. Alma si sentì scrutata da quegli occhi verdi.

"Un po', sì".

"Cos'era successo?"

"Non c'è bisogno che glielo dica" commentò Él. Fino a quel momento era rimasto al suo fianco, in silenzio. Alma, che era stata sul punto di rispondere parlando del suo coinquilino, si bloccò con la bocca semiaperta.

"Ho problemi con il sonno" rispose invece. "Li ho sempre avuti".

"Perché non me lo hai mai detto?"

"Perché era più importante farla sentire una fallita, no, Tere?" commentò l'uomo. Alma cercò di ignorare quella continua moviola, replicando: "Mi sembrava di cercare scuse per la mia incapacità".

"Non sei incapace" ribatté la donna, scuotendo la testa con un sorriso. "Non ti avrei presa altrimenti".

"Grazie".

"Dopo prendiamo un caffè assieme".

"Certo".

"Come cambiano le persone, appena dai loro ciò che vogliono" commentò Él, mentre Alma usciva dall'ufficio della sua direttrice. Lei non gli rispose: in quel momento non le interessava sapere se Teresa fosse stata sincera: l'importante era averle dato ciò che voleva, rilassando il loro rapporto ormai troppo teso.

"Addirittura prendere un caffè con lei" continuò imperterrito l'uomo. "Incredibile".

"Sei geloso?" scherzò la ragazza, tornando al proprio PC. Aveva trascorso tutta la mattina lavorando al protocollo di estrazione di DNA, aiutata dall'uomo. Non aveva avuto nemmeno il tempo di controllare le mail.

"Non sono affatto geloso. Perché dovrei esserlo?"

"Non so, chiedevo".

Alma fece per sedersi, ma lui schioccò un paio di volte le dita, attirando la sua attenzione.

"Non ti stai dimenticando qualcosa?"

Lei lo fissò. Annuì. "Già".

Decise che le mail avrebbero potuto attendere. Era palese che lui sapesse già dove andare.

"Davvero incredibile come tu sappia tutte queste cose" commentò a bassa voce Alma, mentre si dirigevano verso gli ascensori per scendere al deposito al primo piano.

"So tutto quello che sai tu. Ho sempre vissuto nella tua testa, Alma".

"Però io non sono mai scesa al primo piano a cercare qualcosa nel deposito".

"Ah no? E l'etanolo?"

"Va bene" acconsentì Alma, "però non so che altro ci possa essere lì. Tu come lo sai? E come sapevi svolgere così bene quel protocollo, questa mattina?"

"Ho avuto tempo di studiare, te l'ho detto".

"Una Cattiva Coscienza ha la possibilità di andare a zonzo in un laboratorio? Fisicamente? Altrimenti non si spiega come tu possa sapere..."

"Ragazzina, basta" la zittì l'uomo. Era la prima volta che utilizzava quel tono così scocciato con lei. D'istinto lei ammutolì, mentre le porte dell'ascensore si chiudevano davanti a loro. Dopo qualche secondo, lui aggiunse: "So cosa stai pensando. Ma non ti chiederò scusa, signorina. Quando vuoi sai essere dannatamente insistente".

Alma continuò a rimanere in silenzio, osservandosi nel riflesso dello specchio. Anche Él vi si specchiava. Almeno sapeva che le Coscienze, per quanto invisibili, si potevano guardare allo specchio.

"Potresti tenerti di più".

"Come, scusa?"

Alma iniziò a ridacchiare ancora prima di parlare. "Vedi il tuo riflesso. Pensavo di no, pensavo che fosse per quello che sei così... trasandato".

"Come, scusa?"

Lei rideva, non tentava nemmeno di mascherarlo. Lui la osservò per qualche istante, tra l'offeso e il sorpreso, prima di commentare: "Rifletto semplicemente ciò a cui appartengo".

Mentre le porte dell'ascensore si aprivano, Alma esclamò: "Ehi! Cosa vuoi dire con questo?"

Subito dopo, si rese conto di aver appena urlato in faccia a uno studente in camice bianco, che la fissò con gli occhi completamente spalancati. Alma si aprì in un sorriso di scuse e borbottò: "Scusa, stavo... stavo parlando... da sola..." prima di scappare dal vano alla velocità della luce.

"Complimenti".

"Stai zitto".

***

Quando aprì la porta di casa, Alma notò una blatta schizzare via dalla pozza di luce comparsa.

"Non le hanno ancora eliminate tutte" commentò divertita, entrando in casa. Come il giorno prima, l'appartamento era deserto, o così sembrava.

"Abbasserei la voce, se fossi in te" commentò l'uomo, avanzando di un passo, lentamente. "Non sono così sicuro che il nostro porco non sia in casa".

Alma si diede della stupida. Abbassando la voce, mormorò: "Facciamo in fretta e torniamo in laboratorio".

"Non temere. È un giochino semplice, una volta che si impara".

Alma si diresse in cucina, cercando di capire se fosse sul punto di correre un pericolo. Él scomparve nel corridoio. Tornò dopo un paio di istanti, dicendo: "No, non c'è".

"Te l'ho detto" disse la ragazza, aprendo con cautela la dispensa di Santi e Julio. "Si sarà fatto ospitare da una di quelle poverine che si fotte".

"Poverine, già" commentò lui, sedendosi su uno degli sgabelli della cucina, seguendo con lo sguardo una piccola ninfa traballante, che cercava affannosamente di nascondersi. "Probabile che abbia già l'HIV".

"Non ci avevo pensato, effettivamente" ribatté Alma, estraendo dall'armadietto due lattine nere e verdi. Fece una smorfia e aggiunse: "Eccole qui".

"Molto bene". L'uomo si alzò e le andò incontro. Anche lui contorse la bocca quando lesse il nome sulle lattine. "Ah, ora si spiega la sua aggressività. Tipica delle bevande energetiche, altro che testosterone".

"Già" commentò Alma, mentre estraeva dalle tasche dei pantaloni un corto ma spesso ago di acciaio, il corpo tozzo di una siringa di plastica... e una piccola boccetta di vetro marrone. Le tremavano leggermente le mani.

"Qui" disse lui, picchiettando con l'indice subito sotto il bordo alto della prima lattina. "Spingi l'ago in questo punto. Si produrrà un minuscolo foro. Non c'è bisogno che tu spinga l'ago, dentro. Deve solo entrare la punta, vedi che è più sottile?"

"Sì".

"Bene. Ne basteranno 500 mg. Stai attenta a non esagerare".

Alma annuì. Sì, le mani le tremavano, ma era ansia da prestazione, non paura. Aprì la boccetta e aspirò con la siringa quello che lui le aveva detto. Sperò che la polvere fosse ancora in sospensione, mentre afferrava la lattina e con attenzione spingeva la punta dell'ago nel punto indicato. Con uno scricchiolio sinistro, forò l'alluminio.

"Spero non se ne accorga".

"Non se ne accorgerà".

Iniettò tutto il contenuto all'interno della bevanda energetica e lo estrasse, rapidamente. Il foro era quasi invisibile, nascosto dalla cornice alta della lattina.

"Bene, Alma" disse Él, soddisfatto, indicando la decina di lattine ancora presenti nell'armadietto. "Non abbiamo tempo da perdere".

Hotel Alboraya - Piccola storia di cattive coscienze, bus notturni e velenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora