VII

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Gli toglieremo gli amici.

Le parole dell'uomo risuonavano ancora nella mente di Alma come il rintocco di un orologio, come un'eco in una grotta. Aveva smesso da qualche secondo di girare il cucchiaino nella sua tazza e lo fissava in silenzio, sentendosi ripetere quelle parole, ancora e ancora.

Él non sembrava affatto turbato dalle sue stesse parole. Il solito sorriso a denti chiusi ammorbidiva il suo viso in mezzo alla barba sale e pepe. Aveva occhi scuri e intelligenti, Alma non faceva altro che notarlo con una specie di torpido stupore.

"Come?"

Eppure, non stava male come il giorno prima. Aveva inaspettatamente dormito benissimo e si era risvegliata con qualche dolorino alla schiena per via della panca, i vestiti inumiditi, ma viva e abbastanza riposata. L'uomo non sembrava essersi mosso di un millimetro. Aveva semplicemente aperto gli occhi quando lei si era messa seduta al suo fianco e l'aveva salutata alzando una mano.

"La prima cosa che gli toglieremo: gli amici".

"Non conosco i suoi amici".

"Conosci quelli che erano i tuoi, di amici".

Alma scosse lentamente la testa, leccò il cucchiaino e prese la tazza di cafè con leche con entrambe le mani, portandosela alla bocca.

Erano tornati al bar del giorno prima, che questa volta poteva vantare un paio di clienti, pensionati più interessati alla prima bottiglia di birra che a lei. Il barista doveva essere ancora a letto, perché al suo posto c'era una ragazza cinese con gli occhiali che stava guardando la televisione con loro. Alma lanciò uno sguardo al notiziario, ma tornò subito a guardare il suo accompagnatore.

"Non credo che fossero miei amici".

"Effettivamente. Però nemmeno suoi. Possiamo definirli... alleati".

"Non sono mai stata brava ad ammaliare la gente per far cambiare loro partito".

"Non sarà necessario" rispose tranquillo l'uomo, allungandosi verso di lei. Alma ripose immediatamente la tazza sul suo piattino e lo fissò quando lui prese le sue mani tra le proprie. "Ti devi solo fidare di me".

"Io..." rispose impulsivamente lei, senza controllarsi.

Él parve attendere che confermasse la sua fiducia nei suoi confronti, ma la ragazza non continuò e lui non insistette. Tornò ad appoggiare la schiena allo schienale della sedia e intrecciò le mani dalle lunghe dita sul tavolino, davanti a sé.

"Andiamo al lavoro, Alma".

"Sì, è ora. Cioè, no, aspetta... tu non puoi venire".

"Non ti preoccupare. Non sono un tipo che si fa notare".

Alma lo squadrò e alla fine trovò il coraggio di domandare: "Gli altri non ti vedono, vero?"

"Già" concordò lui, sorridendo. "Gran bella cosa, no?"

"Quindi la gente pensa che io stia parlando da sola?"

"Di solito è qualcosa che tiene lontano i malintenzionati. Sai, sembri più pazza di loro, potresti estrarre all'improvviso un cacciavite a stella dal reggiseno e infilzarglielo tra le gambe".

Alma non aveva mai pensato a quell'idea. Aveva sempre fatto di tutto per apparire normale agli occhi degli altri, con la paura di divenire un bersaglio facile e una vittima. Sì, era vero, il suo stile aveva fallato ben più di una volta. Più gentile e innocua sembrava, più si erano accaniti su di lei.

"So parecchie cose sugli afidi" se ne uscì lui, all'improvviso.

"Cosa?"

"Ho avuto tempo per studiare un po'. Sono animali affascinanti".

"Già, lo so. Mi piacciono".

"Eppure, per quanto innocui sembrino, sono dei parassiti".

"Sì".

"E se non sbaglio, nel nostro laboratorio non studiano solo quelli, di parassiti".

Alma ponderò quell'aggettivo possessivo plurale, poi si rese conto dell'effettivo valore della frase.

"No, ovviamente".

Él le sorrise di nuovo.

"Sarà divertente" disse allegro. "Sarà molto divertente".

***

Era insolito per Alma tornare a casa verso le tre del pomeriggio. In tutta la sua lunga carriera di dottoranda, non ricordava un giorno infrasettimanale lavorativo in cui aveva visto casa propria con la luce del pomeriggio.

Aprì la porta lentamente, con il cuore in gola. Aveva paura che ci fosse qualcuno, che avesse calcolato male i tempi. D'altronde non sapeva cosa cazzo facesse tutto il giorno quel maiale di AJulio, no? Il grande economista che nemmeno seguiva i corsi del master.

"Forza, ragazza. O vuoi aspettare che tornino qui, sulla porta?"

Alma ignorò la voce divertita della sua Coscienza e mosse qualche passo nel corridoio di casa. Vedeva la luce che entrava dalle ampie finestre del salotto in fondo. Non sembrava muoversi nulla.

"Flores? Santi?" chiamò a voce alta. Dopo qualche altro secondo, sputandolo come fiele, aggiunse: "Julio?"

Niente. Via libera.

Alma prese velocità dirigendosi in cucina. Appoggiò la scatola di cartone sul tavolino, dopodiché si diresse decisa verso camera propria, mentre cercava le chiavi in tasca.

"Mi raccomando" l'uomo la seguiva alle calcagna, allegro come sempre. "Basteranno solo due o tre palline. Avvolgile nella carta, così non emaneranno troppo odore".

Alma entrò in bagno, strappò un po' di carta igienica e tornò in cucina. Dalla scatola di cartone estrasse una bustina, l'aprì e con attenzione e con piccoli colpetti fece cadere sulla carta tre palline bianche e opache. Il forte odore di canfora le arrivò subito alle narici, ma si sbrigò ad avvolgerle nella carta e il puzzo diminuì.

"Dietro la porta" aggiunse l'uomo.

Alma tornò in camera propria, afferrò il nastro adesivo dalla sua scrivania e si gettò dietro la porta. Rapidamente attaccò quelle caramelle alla canfora nella parte bassa del battente, a poca distanza tra loro. Uscì, chiuse di nuovo a chiave e valutò il lavoro.

"Non si avvicineranno, tranquilla. Tre palline sono sufficienti".

"Ora?"

"Ora... ti lascio alla tua fantasia" ribatté lui, sorridendo e stringendosela contro, un braccio attorno alle spalle e un sorriso orgoglioso. "Divertiti, bambina".

Sul viso di Alma si aprì uno strano, contorto sorriso eccitato. Tornò per l'ennesima volta in cucina e questa volta dal cartone estrasse un grosso, bizzarro tupperware. Dentro qualcosa si muoveva.

Qualcosa di rapido.

Qualcosa di terribile.   

Hotel Alboraya - Piccola storia di cattive coscienze, bus notturni e velenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora