XV

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Era già tarda notte quando Alma rientrò nell'androne del palazzo. Il vento freddo le aveva frustato il viso mentre passeggiava lungo il viale che costeggiava il quartiere marittimo di Cabanyal e le sue guance erano cosparse di piccole chiazze rosse, che le davano un aspetto stranamente infantile. Él entrò dopo di lei, a due passi di distanza.

Non avevano parlato molto, ma Alma lo aveva preso per mano e avevano trascorso così più di due ore. La sua presenza le aveva dato conforto e aveva contenuto il suo delirante bisogno di farsi del male. Avere qualcuno con sé, qualcuno che la capiva nel profondo, era qualcosa che non le era mai stato concesso prima di allora.

Una benedizione.

Quando la porta si chiuse alle loro spalle, Alma cercò l'interruttore della luce, ma quando fece per toccarlo, una mano le afferrò il polso sinistro all'improvviso. La ragazza emise un breve urlo di sorpresa e cercò di indietreggiare, ma ricevette in cambio uno strattone. La luce si accese e Alma si trovò a fronteggiare gli occhi iniettati di sangue di Julio.

"Tu" ringhiò lui, mostrando i denti come un lupo rabbioso. "Cagna malefica".

"Él" pigolò Alma, spaventata.

L'uomo si materializzò al suo fianco, ma rimase dov'era, con un'espressione di rabbia dipinta in faccia.

"Non posso toccarlo".

Alma sgranò gli occhi, ma quando aprì la bocca per tentare di dire qualcosa, Julio la spinse bruscamente contro la parete. I mattoni a vista dell'androne cozzarono rumorosamente con la nuca e la colonna vertebrale della ragazza, tanto che i suoi polmoni si svuotarono con un debole sibilo. Subito dopo le mani del ragazzo si strinsero attorno al suo collo e Alma si ritrovò all'improvviso senza aria. Annaspò, artigliando le dita di Julio, fissandolo terrorizzata.

Lui si aprì in un sorriso diabolico. La sua pelle era grigiastra e sotto i suoi occhi si erano disegnate occhiaie nerastre. Tutto il suo corpo era scosso da tremori incontrollabili e Alma sentiva quella leggera vibrazione pulsare a ritmo col suo cuore impazzito.

"Sei una maledetta puttana" le soffiò in faccia, stringendole ancora di più le mani al collo. "Maledetta puttana. Cosa stai cercando di fare, eh? Assieme a quegli altri due... cosa volete fare? I furbi? Con me?"

Alma iniziava a divenire cianotica. Con lo sguardo cercò disperatamente la sua Cattiva Coscienza. Qualcosa alle spalle di Julio stava succedendo: ombre scure si muovevano lungo le pareti e Él sembrava scomparso... ma lei non ce la faceva ad aspettare. Staccò una mano da quella che le stava serrando la gola e con tutta la forza che possedeva artigliò il viso del suo nemico, aprendo un sottile squarcio nella pelle dello zigomo sinistro.

Julio urlò e la lasciò andare, coprendosi il viso tra le mani. Alma cadde a terra, affamata d'aria. Subito dopo, le luci dell'androne sfarfallarono e si fulminarono. Quando qualcosa la sfiorò, fece per rimettersi a gridare, ma una mano che conosceva bene le serrò la bocca. Subito dopo, l'uomo la alzò senza alcuno sforzo e le bisbigliò all'orecchio: "Va tutto bene. Va tutto bene".

Alma non era della stessa opinione. Si aggrappò a lui, più che sicuramente che Julio, che si stava ancora lamentando per via della ferita, bestemmiando e chiamandola troia, le avrebbe rimesso le mani addosso quanto prima. Scomparve tra le braccia di Él e mantenne gli occhi chiusi, serrandoli con forza, mentre lui la conduceva verso l'ascensore.

"Non voglio andare a casa" sussurrò terrorizzata, mentre le porte si chiudevano alle loro spalle.

"Non ti farà nulla, Alma" rispose l'uomo, "Non può toccarti ora".

Nelle tenui luci dell'ascensore, Alma si vide nella parete a specchio. Grossi segni rossi iniziavano a fiorire come petali sulla sua pelle chiara, tutt'attorno al collo. Alzò una mano tremante e posò sul punto che le doleva di più. Tremava senza ritegno e riuscì a non mettersi a piangere dallo shock solo quando le dita dell'uomo si posarono sulle proprie, mentre se la stringeva contro, alle sue spalle.

"Pensi ancora che valga la pena?" le domandò, guardandola negli occhi, fissandola nello specchio. Alma non rispose. Rimase a fissare lo sguardo allucinato di una donna appena stata vittima di violenza, chiedendosi febbricitante in quanto tempo Julio si sarebbe ripreso. Avrebbe deciso di vendicarsi di nuovo? Come? Entrando nella sua stanza? Uccidendola con le sue mani?

Fu Él ad aiutarla con le chiavi e la porta di casa, perché le sue mani tremavano troppo e non riusciva a stare concentrata, più interessata a notare ogni singolo rumore del secondo ascensore, per non essere colta di sorpresa. Si fece guidare nel corridoio buio e riuscì a tirare un minuscolo sospiro solo quando la luce della sua anticamera si accese. Alma trasalì, quando notò la macchia nera e disgustosa sulla sua porta.

"Cos'è?" bisbigliò, mentre lui trafficava con le chiavi della stanza da letto.

"Cosa pensi che sia?"

Alma rimase in silenzio, senza capire. Solo quando notò una strana venatura nera, si rese conto che stava fissando l'avanzo di un'ala.

Un'ala di falena.

La falena che aveva visto volteggiare nel pulviscolo dorato della cucina, poche ore prima. Era lì, schiacciata sulla porta della sua camera, un monito ben chiaro alla stupida, debole biologa di casa. L'aveva colpita così forte che le squame delle ali avevano imbrattato quasi la meta del battente. Quante volte si era accanito su quella povera creatura? L'aveva vista lì, sperduta in quell'anticamera priva di finestre, e aveva deciso di farle del male. Gratuitamente. Come aveva fatto a lei, come faceva a chiunque capitasse sul suo cammino. A quante altre falene, vere e metaforiche, aveva già calpestato le ali?

La paura, come benzina, prese fuoco all'improvviso. Si trasformò in rabbia. Rabbia, per quella bestia che se la prendeva con gli ultimi. Rabbia per quella morte inutile. Rabbia per il dolore pulsante attorno al suo collo.

No, la caffeina non l'avrebbe ucciso.

Ma qualcosa di diverso sì. 

Hotel Alboraya - Piccola storia di cattive coscienze, bus notturni e velenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora