Rattenkönig

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I topi arrivarono in autunno.
All'inizio non furono nemmeno notati: tra i sacchi di grano mietuto e la farina che aleggiava nel mulino sembrava fossero sempre stati lì, parte della piccola comunità di campagna. Qualcuno spuntava di tanto in tanto nelle case, rosicchiava una mela, un pezzo di carne o uno stivale ma sembrava la norma. Poi il gatto del mugnaio fu trovato morto in un vicolo, tanti piccoli morsi ne martoriavano il corpicino peloso, ne mancava qualche pezzo ma il cadavere era lì, come una sfida.

E poi tutto iniziò a precipitare.

Orde di ratti grassi e molli popolavano i pozzi secchi, divoravano intere dispense e svuotavano cantine. Una mucca gemeva in un campo, con uno di quei piccoli mostri attaccato alla mammella, grosso come un cane ed altrettanto famelico. Di alcuni animali da compagnia furono trovate solo le ossa, di altri nemmeno quelle, se non grida lontane.
Nessuno dormiva più, perché i muri si muovevano, pulsavano di vita e mille, diecimila, milioni di piccole unghie raspavano il legno e la pietra, facendo gemere di terrore chi era già stato aggredito nel sonno.
Fu chiamato il sindaco, che con sguardo torvo pensava già ad una fuga, mentre sudava nel suo fazzoletto ricamato; Nessuno aveva soluzioni, nessun animale era abbastanza forte per sconfiggere quell'orribile esercito, nessun veleno abbastanza potente: ne uccidevi dieci, e cento li vendicavano.

Sembrava tutto perduto, quando un uomo fischiettante fece la sua comparsa, seduto sul bordo della fontana ormai vuota, puzzando di feci e alcol: era brutto ed unto, piccole pustole coprivano la sua pelle e grandi denti gialli e storti si mostravano ad ogni suo viscido sorriso.
Diceva di essere un disinfestatore e che per una modica cifra avrebbe liberato quel villaggio ormai distrutto dalla terribile piaga.
Un miracolo, e nonostante l'incredulità del macellaio la maggioranza scelse di fidarsi e lui iniziò la sua magia: si schiarì la voce, poi prese da una borsa un piccolo tubo nero e cominciò a soffiarci dentro.
Dapprima non si sentì nulla, poi le grida di milioni di topi riempirono l'aria: qualcuno del villaggio svenne, altri vomitarono lì dove si trovavano incapaci di sopportare quella terribile agonia di morte e ai lamenti dei ratti si unirono le urla dei popolani.
Un mare nero si riversò per le strade, una massa informe di pelo e denti animata da un terrore primordiale: gli animali iniziarono ad uccidersi tra loro, a travolgersi e calpestarsi per riuscire a fuggire, attaccando e graffiando chiunque si trovassero davanti.
E a fine giornata, sangue e cadaveri ornavano la piazza, ma la città era salva.
Il misterioso pifferaio chiese il compenso, ma i danni erano stati tali che il sindaco si rese conto di non poterlo pagare, ricevendo uno sguardo carico d'odio e una maledizione sussurrata a mezza bocca mentre se ne andava.

Qualche giorno dopo iniziarono le sparizioni.

Il macellaio fu il primo a scomparire, lasciando il negozio intriso di sangue che non era di bestia. Nessuna traccia, nessuna prova, solo l'eco di una strana musica sentita, forse in sogno, da un vicino.
Poi fu il turno della figlia del sindaco, poi della moglie e dopo di lui stesso, mentre un lugubre lamento si udiva quanto il vento faceva dondolare pigramente le banderuole cigolanti.
Ogni notte, una persona scompariva e ogni notte quel terribile suono teneva sveglio chi restava, tra lacrime di tristezza e terrore: chi sarebbe stato portato via questa volta?

Un giovane ragazzo, sordo dalla nascita, osservava questa isteria con grande dolore, cercando di consolare la propria madre della perdita della sorellina più piccola, con dolci gesti muti ma colmi di risentimento: non capiva cosa stava succedendo, poiché non comprendeva la paura dei suoi familiari per quel suono a lui così misterioso.
La notte in cui sua nonna fu scelta, ultima rimasta, lui si svegliò confuso sentendo il letto freddo e vuoto: egli corse fuori dalle lenzuola e trovò l'anziana donna che camminava in camicia da notte fuori dalla porta di casa, strascicando i piedi e guardando in avanti senza espressione. La scosse, lamentandosi e cercando invano di chiamarla senza riuscire a formulare nessuna parola.
Nella piazza si erano raccolte altre persone, quei pochissimi abitanti rimasti, e tutti camminavano verso lo stesso punto, ignari del giovane che cercava disperatamente di trattenerli, di fermarli.
E lui non poté fare altro che seguirli nella loro lenta marcia, terrorizzato oltre ogni immaginazione ed ignaro del profondo suono che riempiva l'aria di una melodia orribile e cacofonica: sentiva solo una sorda vibrazione del terreno, un gargantuesco russare che lo confondeva.
Passarono i campi, la foresta e le colline poco fuori del villaggio, fino ad una enorme grotta sconosciuta, un buco di buio nella notte.
Quando la luna si sporse dalle nuvole per osservare, un raggio di luce colpì la caverna, facendo biancheggiare un mare di ossa rosicchiate, i resti puliti e candidi di chi aveva sfidato il Pifferaio.

E su quella montagna sedeva qualcosa di immenso, un groviglio nero di code annodate e occhi rossi, migliaia di denti aguzzi e una fame incommensurabilmente antica.

La Dama HorrorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora