Capitolo 1 ~ Davis

616 43 1
                                    

Per mesi ho creduto che la punizione peggiore per me fosse aver perso la memoria. Ma dopo aver faticato tanto per creare questa nuova vita, il destino ha voluto rimescolare le carte.

Ricordo tutto. O almeno, quasi. Ma ogni evento importante è di nuovo impresso nella mia mente pronto a rinfacciarmi i miei sbagli e ora non so più distinguere cosa è reale e cosa faceva parte del sogno.

Sbatto gli occhi incredulo. Mi sento scombussolato, come se avessi fatto una lunga dormita. Mi metto a sedere sul letto e scruto la donna davanti a me per riconoscerla ma non mi è per niente familiare. «Chi è lei?» subito dopo averlo chiesto mi rendo conto che è interamente vestita di bianco e mi trovo in una stanza d'ospedale. Cosa mi è successo?

«Sono un'infermiera. Mi chiamo Josie. Non si agiti.» dice rivolgendomi uno sguardo apprensivo. Suona un campanello d'allarme e improvvisamente il dottore accorre con altri specialisti. Controllano il monitor accanto a me e parlano di cose che non comprendo. Mi accorgo che degli aghi e altri tubi collegano il mio corpo a una macchina. Una serie di immagini appaiono nella mia mente: il pranzo da Nora, l'incidente, i poliziotti. Mi spingono indietro per farmi sdraiare.

«Non deve sforzarsi. Lei è stato in coma per molti giorni. Avviseremo noi la sua famiglia.»

Famiglia? Penso alla lettera di Camilla e mi viene un crampo allo stomaco. Ho un figlio. Immagino Nora che lo scopre. Che piange per causa mia. Sono solo. Sto per vomitare. Mi alzo di botto e cerco di liberarmi da questi fili.

«Ma che fa? Tenetelo fermo! Dategli un tranquillante.»

«No! Ascoltatemi.» protesto invano.

«È normale sentirsi così scombussolati.» sento dire a Josie. «Ma si sistemerà tutto.» 

Vedo il riflesso nei suoi occhiali di un uomo stanco, con i capelli spettinati e un camice stropicciato. Mi porge un bicchiere con delle medicine. Bevo il contenuto e cerco di rilassarmi. Ho sognato gli stessi giorni a ripetizione ma la cosa che fa più male è ricordare il viso di Nora pieno di disprezzo. Ho mandato via l'unica persona che avrebbe potuto aiutarmi. Le ho tenuto nascosto un mucchio di cose.

Lei mi guarda, con quegli occhi socchiusi, lucidi, che trattengono a stento un mare di tristezza e vorrebbero dire cose che non riescono davvero.

«Perchè?» chiede stavolta.
«Perchè sono uno stronzo.»
«Non basta.» No, non basta. Non c'è giustificazione che regga quando ferisci qualcuno.
«Perchè lo ha fatto?» mi chiedono i poliziotti.
«Perchè mi hai lasciata?» chiede Grace. La osservo. Non so cosa rispondere. È tutta una serie di domande a cui non trovo una risposta. Possibile che tutto debba essere giustificato? Gli animali agiscono per istinto, forse ho fatto così anch'io. Non c'è altra spiegazione.
«Sei proprio tu?»
Non risponde, resta in silenzio. Poi si accuccia sul pavimento e continua a singhiozzare. In un attimo la rivedo nella doccia di quello chalet, quel colore rosso impresso nelle mie palpebre.
«Davis.» questa voce così familiare è quella di Nora.
«No, non entrare!» mi guardo intorno, penso di chiudere la porta ma non c'è la chiave. Sento che la sua voce si fa più vicina. Grace ha bisogno di me e Nora non capirebbe.

È troppo tardi. Il suo viso è davanti a me, guarda prima lei, poi me. Non sembra spaventata o stranita.

«Mi dispiace.»
Di cosa ti dispiace? Dovrei essere io quello dispiaciuto. Non so per quale assurdo motivo non riesco a parlare.
«Torna a casa con me.» dice solamente.
E con mia grande sorpresa mi avvicino a lei, mi faccio prendere per mano. Forse è questo quello che volevo di più e non sono mai riuscito a fare. Lasciarmi guidare da qualcuno. Sono sempre stato trascinato di qua e di là come una barca in tempesta dal mare furioso.  Mentre Grace si alza, ci urla dietro «Non farlo di nuovo, te ne pentirai!» E improvvisamente, finalmente, non la sento più.

Sospiro e guardo l'infermiera, adesso nella stanza siamo solo noi due. Aspetto che i battiti si facciano più lenti.

«Quanto tempo sono stato in queste condizioni?»

«Cinque giorni.»

«Dov'è lei?»

«La sua ragazza? E' andata a casa a cambiarsi, tornerà a momenti. Proprio sul più bello, eh?»

«Già.»

Cosa le dirò quando tornerà? Come potrò guardarla negli occhi e mentirle ancora? Rivivere lo stesso orrore mi ha reso più vulnerabile e mi ha fatto rendere conto di tante cose. Un'altra infermiera entra con un carrello di metallo, prende un vassoio con sopra del cibo e lo posa sul tavolo davanti al letto. Poi entrambe escono lasciandomi solo con la mia sofferenza. Vorrei provare ad alzarmi, andare un po' in giro, ma non credo sia una buona idea. Sento la schiena indolenzita e provo a cambiare posizione. Mi giro dando le spalle alla porta e inizio a piangere. Questo incubo non avrà mai fine.

Cerco di ricordare cosa è successo dopo l'incidente ma vedo solo un vuoto nero e poi ricordi sconnessi di Grace che dà una cartellina a Nora, lei scopre tutto e mi lascia, piange, mi spedisce una lettera. Oddio. Non può essere, Josie ha detto che verrà a momenti. E come ho fatto a sapere queste cose se ero in coma? Non può essere reale. Ma non posso chiedere nulla a nessuno, o si scoprirebbe qualcosa di grave prima del previsto.

Guardo il cielo che diventa sempre più scuro, le luci dei palazzi accese in lontananza. Sento delle voci nel corridoio e mi sollevo immediatamente sperando che lei entri.

La porta si apre e vedo una ragazza diversa, con il viso scavato, gli occhi gonfi, senza trucco. Resta pietrificata sulla soglia e mi guarda con le labbra socchiuse. Anche io guardo lei e il mio istinto vorrebbe che mi alzassi ma le forse non sono dalla mia parte.

Gli occhi le si riempiono di lacrime. «Ti sei svegliato...» dice solo.

Vorrei dire qualcosa ma non c'è niente che possa andare bene, tutto mi sembra una recita che ho montato io stesso.

Mi butta le braccia al collo e inizia a singhiozzare. Mi impongo di stringerla a me e tranquillizzarla. Noto solo adesso che sul comodino c'è una nostra foto incorniciata, deve averla portata lei.

«Mi sembrava impossibile, la clinica mi ha chiamata subito. Pensavo non ti saresti svegliato più.» 

 Ad un tratto l'aria diventa irrespirabile. Inizio a sentire caldo. Per tutto questo tempo mi è stata vicino senza lasciarmi un secondo ma se sapesse la verità si comporterebbe proprio come la Nora che ho sognato.

Alza la testa di scatto e mi guarda spaventata. «Ma... perchè non dici niente? Non ti ricordi di me?»

Mi si stringe il cuore. «Certo che mi ricordo, stupida.» cerco di sorriderle. «Sono solo scombussolato.»

Lei annuisce e mi stringe la mano più forte. «Mi è sembrata un'eternità... sapere che...» le parole le muoiono in gola. Non posso vivere ancora con questo peso. Non dopo quello che ho sognato, non dopo che ricordo tutto.

Si alza dalla sedia e mi fa una carezza. «Ti lascio riposare.»

«Sei rimasta ferita?» chiedo quando la vedo zoppicare.

Lei annuisce. «Solo un taglio. Vado a parlare con i dottori, torno tra un po'.» chiude la porta e io rimango ancora una volta solo in questa stanza. Solo con i miei pensieri, con i miei sbagli.

Camilla ha un figlio mio oppure no? L'ho sognato, ma so che è il mio inconscio a parlarmi. Devo affrontare questa responsabilità. E se lei davvero dicesse la verità a Nora? Le ho chiaramente detto che non mi importa più di lei, che non ricordo.


Non voglio perdere Nora, ora più che mai ne sono convinto. Non posso raccontarle la verità e non posso nemmeno continuare a mentirle.
Ma non è proprio questo che si dovrebbe poter fare con il proprio amante? Confidarsi, raccontare qualunque cosa.

Ricordo le parole di Camilla quando andammo insieme al bar:

«Tutti abbiamo dei segreti, e ce li teniamo dentro per non ferire gli altri.»

«Ma è proprio mascherare questi segreti che ti fa apparire una persona diversa.» Risposi io.

Sorrise. «Vero. Ed è proprio per questo motivo che la gente si lascia.»

Probabilmente quel giorno Camilla si riferiva a noi due. Aver finto di essere persone diverse ci aveva portato a odiarci. Ma io in questo momento penso solo alla donna che amo.

Inside our souls 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora