Sfumature di silenzi

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[LEXA]

Esco dalla sala emergenza e torno con il pensiero a quel messaggio che avevo iniziato a scrivere prima che mi interrompessero per occuparmi del paziente colpito dalla trave. Ho bisogno di mandarlo, ho bisogno di condividere il peso dei miei pensieri, prima che tra un'emergenza e il dover fare da baby sitter a questo disastro di ragazzina raccomandata, torni anche a riaprirsi la porta del sogno di stanotte. So che succederà e se non sarà quello, arriverà nella mia mente qualche altro ricordo.

Ho bisogno di parlare con te di tutto questo o credo che impazzirò...

Istintivamente infilo la mano nella tasca del camice e tocco il cellulare, senza però tirarlo fuori, sto lavorando e non posso mettermi a messaggiare, anche se ora avrei davvero bisogno di sfogarmi e trovare qualche parola di conforto, ma lo farò appena possibile; mentre l'accompagno verso l'Accettazione continuo a ripensare a come mi sono comportata nei confronti della mia tirocinante, quanto il sapere chi sia e le parole minacciose di Jaha mi abbiano già influenzato.

Se non avessi saputo chi è, cosa avrei fatto se un altro tirocinante si fosse presentato con così tanto ritardo il primo giorno?

Ogni situazione va valutata, soprattutto ogni persona va valutata, ma ho paura di ammettere anche con me stessa, che se si fosse trattato di un altro studente probabilmente avrei scritto quella lettera di richiamo; si forse chiunque altro sarebbe stato segnalato per il ritardo, ma il tono così distaccato e quello sarcastico che ho utilizzato in alcune battute che ho fatto l'avrei applicato verso chiunque altro che non fosse stato lei?

Ma lei non è chiunque altro, anche se dovrebbe poter essere considerata una studentessa come gli altri, soprattutto da me! E invece grazie a quel viscido e a sua madre, che non vuole che sua figlia venga messa alla prova come gli altri, che venga equiparata agli altri e che possa dimostrare quanto vale come gli altri, io sto facendo in modo che ciò non accada.

Sicuramente lei non si è comportata in modo professionale, ma... neanche io...

E tu? Cosa avresti detto di tutta questa situazione? E soprattutto cosa avresti detto di me, vedendomi ora...

Quanto ti starò deludendo... quanto pesa pensare a come potrebbero guardarmi i tuoi profondi occhi scuri, che per la mia anima sono sempre stati lo specchio in cui vedere davvero chi fossi...

Ora non posso più specchiarmi, non posso più confrontarmi con te, non posso più sostenermi attraverso la forza che mi hai sempre donato e che mi ha sempre impedito di cedere.

Tu che in me non avevi mai smesso di credere... come potresti continuare a farlo ora?

Sono in un turbine di pensieri, mentre dall'Accettazione, dopo aver salutato di nuovo Gustus, ci spostiamo verso gli altri luoghi del Pronto Soccorso che meccanicamente descrivo alla mia studentessa. Attraversiamo il laboratorio analisi, dove le indico dei numeri di telefono di riferimento per poter richiedere i risultati, che lei prontamente scrive in un quaderno. Passiamo poi per radiologia, le sale visita, le sale emergenza e di chirurgia per arrivare infine alle sale per fare le suture.

Lei ascolta le mie indicazioni e mi segue senza dire una parola, il che da una parte mi aiuta, dall'altra mi impedisce di smettere di pensare...

Stiamo per entrare in una sala, dove ho intenzione di farle iniziare a far pratica con qualche sutura semplice appena arriverà un paziente adatto, quando sento di nuovo la voce di cui più di ogni altra ne avevo già avuto abbastanza per oggi... il Cancelliere, ancora lui, di nuovo...

"Dottoressa Woods, bene, vedo che vi siete già incontrate" si rivolge a me accompagnando la frase con un sorriso falso e ipocrita come se non sapesse che ci saremmo dovute per forza incontrare...

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