23. Il Bosco dell'Impiccato (parte 1)

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Camminare era ormai diventata l'attività principale. Il bizzarro gruppo, composto da una ragazza con i nervi cedenti, una strega immusonita, un bel ragazzo impavido e uno strano tipo con i capelli blu, camminava da quelle che sembravano ore ma in realtà erano giorni. 
Si camminava per fare sport, si camminava per divertimento, si camminava per dimagrire -cosa necessaria, vista l'enorme quantità di cibo recuperabile in una pianura esageratamente piatta ricoperta di erba, erba, erba e altra erba- si camminava per hobby. Il sarcasmo ormai era alla base della camminata. Camminare era il centro di quella strana missione che quel gruppo strampalato cercava di portare a termine. Camminare stava già iniziando a dare sui nervi, am era l'unica cosa possibile. Certo, perché se il gruppo non avesse camminato avrebbe dovuto stare fermo, e sarebbero tutti morti di fame o sete. 

E, a proposito di fame o sete, la mancanza di questi due bisogni primari, con il bonus del non dormire, aveva probabilmente ucciso i pochi neuroni rimasti alla sottoscritta. La sottoscritta che fa parte del suddetto gruppo e alla quale era partito un tic nervoso all'occhio. 

Sì, probabilmente i due neuroni sani che fluttuavano spensieratamente nel mio cervello erano andati a farsi friggere. Prima vengo catapultata nel mio stesso libro, poi incontro due streghe pazze, poi un ragazzo affascinante mi salva e successivamente cerca di ammazzarmi, poi una delle streghe muore per mano di un ragazzino con la testa blu che si unisce alla compagnia e intanto anche i tempi verbali nelle mie stesse frasi non seguono l'ordine cronologico della storia scritta al passato. 

Tutto quel camminare era estenuante. Non riflettevo nemmeno più, ogni volta che mettevo un piede davanti all'altro. Certo, a volte si pensa che siano passati dei giorni mentre sono solo poche ore. Ma ero arci sicura che fosse passato almeno un giorno e mezzo. Non ero così rimbambita da non accorgermi della notte che calava portandosi dietro il suo manto nero o del giorno che risplendeva nella sua luce dorata. 

Non c'è da escludere il fatto che era più di una settimana (o due?) che viaggiavamo verso la Terra della Morte, senza mangiare o bere. Ero allo stremo. Quando pareva che stessi guardando un punto all'orizzonte (una striscia verde e netta) stavo sognando ad occhi aperti immaginando i bei momenti passati nel mio letto caldo o pensando a quanto mi mancasse la mia famiglia. Bocca aperta a rischio mosche, sguardo vacuo a rischio albero. Cosa significa a rischio albero? La risposta va servita su un piatto d'argento, come secondo il galateo. Ma partiamo dal principio. 

Ovviamente, stavo camminando. Stavo camminando con le mani ciondolanti lungo i fianchi e anche se stavo guardando il bel paesaggio verde davanti a me -se ci fosse stata almeno una margheritina... una sola...- non lo stavo vedendo veramente. E se uno non vede non può sapere dove sta andando. Quindi, proprio mentre, nella mia immaginazione, stavo per addentare una bella fetta di torta alle fragole, si udì un bel tonfo, nonché la mia testa che cozzava dolorosamente contro il tronco di un albero. 

Riassumendo, non guardavo dove mettevo i piedi (la testa, in questo caso) e sono finita con la zucca contro il rugoso, ruvido tronco di un albero molto alto, affiancato da un migliaio di altri alberi. 

Un bosco di alberi altissimi si presentata dinnanzi a noi. Non se ne vedeva la fine, né a destra né a sinistra. Le chiome erano folte, i tronchi robusti e ricoperti di licheni. I cespugli rigogliosi e alcune pietre ricoperte di muschio. Un bosco veramente bello, osservato da fuori. Era come uno di quei bellissimi boschi Norvegesi che si vedono nei documentari, di quelli che ti fanno venire una voglia matta di guardarli da vicino perché i loro alberi sono così alti e possenti, e faresti di tutto pur di accarezzare uno di quei tronchi pieni di vita. Ma mi trattenni dal toccare di nuovo quell'albero, vista la poco piacevole esperienza vissuta nel fitto dell'unico bosco che avevo attraversato fino a quel momento.

-Questo bosco non è come la Foresta degli Spettri- mormorai tra me e me. -No, non lo è decisamente- Una strana energia fuoriusciva da quel bosco. Anzi, non strana... credo che "ambigua" renda di più ciò che voglio dire. Era un'energia che non riuscivo ad identificare, era a me sconosciuta e anche ad istinto non sarei riuscita a dire se fosse "buona" o "cattiva". Non dimostrava segni di appartenere all'oscurità, ma era così misteriosa da non essere totalmente positiva. Se avessi dovuto darle un colore, avrei detto trasparente (che non è un colore, proprio come quell'energia ambigua, che aveva un qualcosa di indefinito). Era un'energia più viva di tutte quelle che avevo percepito fino a quel momento. Anche da fuori si captava qualcosa che si muoveva nel bosco.

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