𝟕.

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Suonò al mio campanello senza preavviso.
Fuori diluviava e non aveva l'ombrello.
Era domenica pomeriggio.
Lei, coperta di pioggia, aveva il sapore del cioccolato alle nocciole, i fianchi larghi coperti solo da un paio di pantaloncini di jeans neri e la maglietta bianca fradicia, appiccicata addosso.
Mio fratello la guardò con curiosità, ma io fui veloce a portarla in bagno per farle fare una doccia calda e darle dei vestiti asciutti.

- Mamma mia Vì, mi sono persa col tram per venire qui e ho anche dimenticato l'ombrello.

Sbuffò con fare melodrammatico mentre le facevo vedere dov'erano le salviette, per poi ridere piano.
La fissai, i miei occhi si soffermarono sui suoi seni e sull'ombelico, poi sul collo e sui ricci gocciolanti. 

- Se vuoi puoi stare dentro mentre faccio la doccia. Non mi dà fastidio - lo disse con semplicità, senza alcuna traccia di malizia, mentre si toglieva le vans rovinate. 

Scossi velocemente la testa - già la immaginavo, il sapone sulla pelle e le gocce d'acqua che correvano sul suo corpo, il collo, i capelli appiccicati alle scapole, gli occhi grandi, e le ossa del bacino, la curva delle cosce... i capezzoli turgidi per il freddo... La sentivo sulla mia lingua, quasi, la sentivo respirare, canticchiare, pronunciare qualche frase e il mio nome in mezzo al vapore.
La sentivo già nuda davanti a me che si copriva con l'accappatoio, ed era un brivido indescrivibile.
Fuggii come se quelle quattro pareti azzurrine avessero potuto inghiottirmi.
Solo quando arrivai in camera mia, in fondo al corridoio, mi resi conto di non averle nemmeno chiesto perché fosse venuta da me.
Non sapevo nemmeno cosa voleva fare.
Voleva fare qualcosa? Con tutta probabilità avrebbe semplicemente inventato altro.
Uno di quei suoi mondi paralleli con il mare, i gamberetti fritti, le birre ghiacciate, qualche libro e le sue iridi castane. 
Mi aveva preso alla sprovvista come al solito, e io, come al solito, ero rimasta incantata.
Fuori pioveva sempre di più.

La aspettai riordinando freneticamente la mia camera da letto.
C'era una tela dipinta a metà piantala al centro del pavimento ancora in bilico sul cavalletto, libri in tutti gli angoli possibili, impilati, il letto sfatto, l'ukulele appoggiato sotto la scrivania, fogli ovunque, disegni ovunque, e la mia gatta spaparanzata sulle mie lenzuola come se niente fosse, le tapparelle mezze abbassate...
Continuavo a trovare qualcosa fuoriposto, a correre freneticamente da una parte all'altra della stanza, sforzandomi di non pensare a Marina e al suo corpo nella doccia, al modo in cui sarebbe arrossita se l'avessi vista.
Mille scenari si dipingevano nella mia mente, baci dolcissimi e appassionati, e le sue gambe nude attorno alla mia vita, il suo sorriso e i capelli sparsi sul cuscino, la sua voce che si rompeva mentre raggiungeva l'orgasmo, le sue mani che si intrecciavano con le mie, e ancora, di nuovo, i suoi seni pallidi, la pelle morbida, le ciglia, la bocca screpolata...

- Vì - Marina bussò sullo stipite della porta mentre pronunciava il mio nome e io mi girai con le mani ingombrate da due pennelli, una matita che avevo trovato per terra e tre o quattro fogli, il cuore che batteva a mille per tutte le immagini che avevano attraversato la mia testa.

- Hai una macchia di vernice sulla guancia.

Quasi non la sentii, quasi non la vidi nemmeno avvicinarsi. Eppure in due istanti era a pochi centimetri da me, bella, i capelli mezzi asciutti e mezzi no, la mia maglietta enorme dei Metallica che copriva parzialmente i pantaloncini multicolore che le avevo dato. Profumava del mio bagnoschiuma. 
Le labbra erano rosse, forse per il vento.
Passò un indice sulla macchia di pittura, sorridendo.
Smisi di respirare quando arrivò vicino alla mia bocca, sovrappensiero.
Le sue guance si tinsero di rosso quando si ritrovò a osservare i miei zigomi e la mia mascella, e poi a scendere verso il collo e lo sterno.

- Non ti preoccupare per il disordine. Ci sono abituata. Dovresti vedere la mia stanza. Io sì che sono caotica. Vestiti ovunque, scarpe ovunque, persino quelle invernali. Inciampo sempre nei miei tacchi e ritrovo fogli perduti chissà quando sul fondo della libreria. 

𝓶𝓪𝓻𝓲𝓷𝓪Where stories live. Discover now