𝟑.

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Non la vidi per una settimana.
La cercai inutilmente, in spiaggia e nei quartieri lì vicino, sperando di incrociarla da qualche parte.
Non avevo pensato nemmeno per un istante che quel "settimana prossima affittiamo un risciò" fosse un brusco arrivederci.

Dopo due giorni soli, mi arresi.
Non avevo nemmeno il suo numero di telefono.
Non c'era modo che la trovassi, sapendo solo che si chiamava Marina e che veniva spesso nella spiaggia dove andavo anche io. 

Uscii con i miei amici, andammo in discoteca.
Suonai qualcosa, scrissi qualche nota di una canzone che sapevo avrei finito tra mesi.
Feci un giro con la bicicletta per il mio quartiere e arrivai persino a verniciarla, quella dannata bicicletta, solo per far passare il tempo. 
Andai a cena dai miei zii, il mercoledì. 
Lessi un libro di poesie di Pablo Neruda. 

Mi accorsi, tra le altre cose, che non ci eravamo date nemmeno un appuntamento preciso.
Mi aveva detto solo settimana prossima, andiamo sul risciò, mi porti nella gelateria più buona che conosci
Né un luogo, né un indirizzo, né un altro nome che non fosse il suo.
Iniziai a sospettare che mi avesse preso in giro, ma sapevo che non poteva essere vero.

Trascorsi sette giorni esatti, andai in spiaggia e ci rimasi tutta la mattina.
Niente, nessun segno.
Il sole era caldissimo.
Lessi quasi tutto il tempo, iniziando un libro di racconti di Gogol'.
Restai anche a pranzo.
Presi un panino in un chiosco sulla spiaggia e un succo di pompelmo per ricordarla, anche se non era buono come quello che mi aveva portato.
Arrivarono le tre.
Poi le quattro.
Era così strano passare tutto quel tempo da sola, era così bello e così sconfortante.
Feci un bagno.
Mi stesi nell'acqua come una stella marina e mi lasciai cullare.
Le cinque e mezza.
Mi ero appena decisa ad andarmene entro massimo dieci minuti quando la vidi arrivare verso di me con la bocca storta verso sinistra, le labbra di uno strano color more e una maglietta troppo larga infilata dentro a un paio di pantaloncini grigi morbidi.

- Ciao - disse, sorridendo.
Come se fosse sempre stata qui.
Risposi con lo stesso identico saluto, guardandola male.
Questa volta le scarpe le aveva, erano delle vans nere e bianche. 
Non si accorse che la guardavo male, o forse lo ignorò.

- Vieni. Dobbiamo fare tantissime cose stasera. Intanto vieni a casa mia a farti una doccia. Poi usciamo a cena, poi affittiamo il risciò e poi il gelato.

Sembrava di fretta, come se avesse perso un treno e finalmente fosse riuscita ad arrivare da me facendo tutta la strada a piedi.
Mi lasciò spaesata.
E lo sapeva, e forse le piaceva anche un po'.
Vieni a casa mia a farti una doccia.
La guardai con un sopracciglio inarcato.
Non si era fatta sentire per una settimana e adesso voleva che andassi a casa sua per lavarmi?
La voglia di sapere cosa avesse fatto in tutti questi giorni mi mangiava viva.

- Se vuoi la doccia puoi farla a casa tua e poi vengo da te, o tu vieni da me. Ma ho la casa vuota. Ed è poco distante da qui. Due di tram. 

Avrei voluto dirle che aveva dimenticato la parola fermate, ma era ovvio che lo avesse fatto apposta e che fosse una sua abitudine, una delle sue abitudini sulle parole, uno di quei suoi strani e affascinanti giochi con le lettere e le frasi, così riuscii solo a scuotere la testa e dire:

- Casa tua va bene.

- Sicura?

- Certo.

- Okay. Ti prometto che non sono una serial killer. 

Mentre lo disse mimò con le mani il gesto di una pistola e socchiuse un occhio.

La sua casa era sua.
Profumava di lei e sembrava impregnata della sua essenza, della sua luminosità, del suo calore.
Aveva un sacco di stanze, ognuna diversa dalle altre, due piani e le pareti chiare, il divano di pelle marrone nel salotto e il parquet. Era arredata in modo semplice, ma con gusto. Qua e là c'erano quadri firmati sempre dallo stesso artista, molti dei quali non era nemmeno incorniciati.
Il giardino era sul retro, pieno di alberi da frutto, con un piccolo porticato sotto il quale troneggiava un tavolo di legno con sei sedie sparse in modo disordinato. Dall'esterno, si intravedeva anche un balcone che dava sulla strada pieno di fiori e piante grasse.
Non c'era nulla che potesse far pensare che la sua famiglia fosse ricca, ma io, che vivevo in un semplice appartamento dentro al quale ogni giorno osservavo la mia famiglia andare a pezzi, guardavo tutto con meraviglia, ma soprattutto invidiavo quel senso di intimità e sicurezza che mi davano le pareti di quella casa.

𝓶𝓪𝓻𝓲𝓷𝓪Όπου ζουν οι ιστορίες. Ανακάλυψε τώρα