24. Something lost

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Canzone nei media:
Stranger - SKYLR

"Nel tuo giro inquietoormai lo stesso saporehan miele e assenzio

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"Nel tuo giro inquieto
ormai lo stesso sapore
han miele e assenzio."
(Eugenio Montale)

Battei le palpebre.

Poggiavo su un cuscino e sotto il mio collo c'era un braccio dalla pelle olivastra. Lenzuola verdi mi coprivano appena sopra il seno e una mano era abbandonata sul mio fianco sinistro.

Chiusi e riaprii ancora una volta gli occhi e portai lo sguardo sul mio avambraccio, pallido contro il copriletto nero. Mi soffermai sul tatuaggio, una rosa circondata da foglie e rovi, che mi attorcigliava attorno al braccio. Lo avevo fatto a sedici anni, senza che i miei genitori lo sapessero, perché volevo qualcosa che mi ricordasse che ero più forte di quanto la gente credesse. Era buffo, adesso, pensare a dove mi trovassi e che in quel luogo erano ovunque: nell'aria, sugli abiti, sulle persone. Forse ero sempre stata destinata a trovarmi lì.

La
verità
ribolle.

La mia mano, poco più in alto, era intrecciata a quella dell'uomo che - appena dietro di me - ancora dormiva. Quando mi ero svegliata ero rimasta spaesata: la mia mente assonnata ci aveva messo un attimo per collegare gli eventi della notte prima al luogo in cui mi trovavo e alla persona che riposava al mio fianco.

A dir la verità ero ancora un po' smarrita, incredula che fosse successo davvero: non avrei mai immaginato che le cose potessero evolversi così rapidamente.

Il solitario raggio di sole che entrava dalla finestra dietro di noi illuminava il mobilio. Non avevo mai visto la sua stanza e non pensavo sarebbe mai accaduto - non che, per l'appunto, la cosa mi premesse più di tanto -, ma trovarmi lì dava alla situazione un altro sapore. Non mi aveva riportata alla mia camera, ci aveva portati nella sua. E conoscendolo questo significava qualcosa.

Le pareti erano spoglie e se non fosse stato per l'arredamento neo-classico la stanza sarebbe stata vuota- per quel che ero in grado di scorgere, senza muovermi e rischiare di svegliarlo, non c'erano oggetti personali in bella vista, e persino il comodino era vuoto, se non per un piccolo centrino bianco. L'unica cosa che mi faceva riconoscere la camera come sua era l'odore che permeava aria e coperte - così forte da farmi girare la testa. Rose selvatiche. Dolci. Delicate. Inebrianti.

Dietro di me sentii Victor inspirare a fondo, allargando il petto e schiacciandosi contro di me. Temetti si stesse per svegliare, ma un minuto dopo ancora dormiva.

Non avevo idea di dove fossero finiti i miei vestiti e, seppure lo avessi visto nudo solo poche ore prima, il fatto che il suo corpo fosse premuto contro di me mi faceva mancare il respiro. Il ricordo di quello che avevamo fatto tra quelle lenzuola mi mandava nel pallone: ogni volta che mi soffermavo su quei fotogrammi, su un centimetro casuale della sua pelle, sulle sue mani che percorrevano il mio corpo, sulla sua bocca contro la mia e sulla sensazione di appagamento, la mia faccia andava a fuoco. Per poche ore lui aveva cancellato il vuoto che c'era dentro di me e, ora che era tutto finito, mi chiedevo come fosse potuto succedere, cosa mi avesse spinto a lasciarmi andare.

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