21. A devil thing

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Canzone nei media:
Devil's Plaything - Liv Sin

"Il giardino è una canzone d'amore,un duetto tra essere umanoe Madre Natura

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"Il giardino è una canzone d'amore,
un duetto tra essere umano
e Madre Natura."
(Jeff Cox)

Granelli di terriccio s'incollavano alle mie dita mentre fra le pareti della serra piantavo semi in piccoli vasetti rossi. I granelli erano freddi e l'indice mi bruciava nel punto in cui, maneggiando le rose, mi ero tagliata. Se Victor, con il suo olfatto sensibile, lo avesse sentito o meno, non ero in grado di stabilirlo.

Era trascorsa una settimana dal suo tentativo di baciarmi. Non ne avevamo più discusso, seppure più volte fossi stata sul punto di tirarlo in ballo, ma da quella notte – passata insonne – non avevo fatto altro che pensarci.

Dopo che lui era svanito, lasciandomi sola nell'ala sud, avevo arrancato fino alla mia stanza, dove mi ero stesa a luci spente. Era stato allora, mentre fissavo i tendaggi cremisi del letto, rischiarati dalla luce lunare, che la mia mente era stata capace di collegare gli eventi e comprenderli.

Non so cosa mi avesse trattenuta, né perché le voci avessero taciuto... fatto stava che, quando tutto era passato, in me si era diffuso il rimpianto. Cosa sarebbe successo, se gli avessi permesso di farlo? Avrei dimenticato Richard una volta per tutte o magari sarei stata divorata dai rimorsi? Non avevo magicamente rimosso chi o cosa Victor fosse, né di essere stata portata in Estonia contro la mia volontà ed esserci rimasta per... cosa, stupidità? Semplice ego? Manie di grandezza? Ma il dubbio si insinuava nei silenzi tra i miei pensieri, quando le azioni basilari con cui tentavo di distrarmi non bastavano, e mi portava a chiedermi se baciarlo avrebbe potuto aprire qualche porta e permettermi di sentirmi meno vuota.

Non volevo che fra noi nascesse una relazione, di problemi ne avevo già troppi, ma non potevo impedirmi di domandarmi cos'avrebbe potuto essere. E la fila degli "e se..." diventava sempre più lunga. Ma alla fine tutte le domande che mi ponevo erano prive di scopo: quello che doveva accadere era accaduto, il treno era partito e io ero rimasta alla stazione. Dubitavo che l'occasione potesse ripetersi e non avevo abbastanza coraggio da intavolare una simile discussione, non con lui.

Victor era diventato cupo e parlava poco, il minimo indispensabile per svolgere il proprio lavoro. L'unica volta in cui mi aveva rivolto parola era stato per chiedermi se mi andava di aiutarlo nella serra. Avevo scoperto che una delle sue passioni era il giardinaggio e mi aveva stupita non poco che mi avesse coinvolta in qualcosa di così personale. Forse si era reso conto di aver esagerato, o forse si era solo pentito, ma ero felice che stesse cercando – a modo suo – di risolvere. Probabilmente stavo solo costruendo castelli in aria, ma era difficile determinare cosa gli passasse di mente.

Da quella notte era come essere tornati al primo giorno: non sapevo cosa dire e quando dirlo, per timore di scatenare un litigio. Per questo stavo zitta e mi limitavo come lui allo stretto necessario, lasciando le cose così com'erano: fredde, distanti.

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