7: Nemmeno Il Mormorio D'una Preghiera

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Non appena Patricia se ne fu andata, dopo quella che Casey giudicò come la cena più terrificante a cui avesse mai partecipato nella sua breve vita, il suo piccolo mondo, quella sala intorno a lei cominciò a stringersi e a girare.  La stanza, senza finestre, era nera come la notte. Una sensazione di panico incontrollabile le afferrò la gola, stringendola tra gli artigli per soffocarla nell'orribile sensazione di debolezza e terrore che pian piano le stava iniettando nel cervello.

Sarebbe morta in questa stanza, non avrebbe mai più visto la luce del sole, ne era sicura.

Forse aveva problemi di cuore proprio come suo padre, forse i suoi attacchi di panico l'avrebbero divorata prima che lo facesse la Bestia.

La Bestia..la Bestia stava arrivando per lei...

"Non ci vorrà molto tempo, cara, è quasi finita."

Migliaia di terribili ricordi si fecero strada nella sua mente, vorticando dolorosamente.  Razionalmente, sapeva che l'unico mostro che l'aveva perseguitata fin dall'infanzia non poteva raggiungerla ora, ma i suoi nervi erano così tesi che le sembrava come se fosse proprio dietro di lei, sopra quel piccolo letto sgangherato con lei, con quelle grosse mani che si muovevano su tutto il suo corpo.

"Non darmi nessun problema, adesso."  La voce dello zio John risuonò nei suoi pensieri. Si sentì rabbrividire quando la memoria sensoriale le fece sentire il ruvido  tocco delle luride zampe dello zio su di lei.  "E' quasi finita.".

Cercò di controllare il ritmo al cui respirava, ma non potè fare nulla per contrastare l'iperventilazione. Contare come avrebbe fatto quando si agitava sarebbe stato inutile stavolta. La sua mente era fin troppo sopraffatta anche per pensare lucidamente.  Voleva solo vedere di nuovo il sole.

Era così vicina alla libertà.  Proprio quando era a breve distanza dalla laurea, a poche settimane dal compimento dei diciotto anni e finalmente in grado di fuggire per sempre dalla prigione della custodia dello zio, ella era diventata prigioniera di qualcun altro, che aveva contribuito a decimare l'ultimo pezzetto di speranza che aveva.

Non le importava della possibilità di morire, presto o tardi. Tanto il suo spirito era già morto, ucciso molto tempo fa.  Ricordò che maledì Dio quel giorno, contrastando i pensieri del padre, che aveva devotamente creduto per tutta la vita. Si chiese, che tipo di Dio avrebbe lasciato che sua madre morisse il giorno della sua nascita e che suo padre le venisse crudelmente tolto solo sei anni dopo?  Che tipo di Dio avrebbe lasciato che gli innocenti soffrissero per colpa di alcuni mostri come zio John, o la mamma di Kevin?

Nonostante i dubbi e la miscredenza, ella si ritrovò a crollare in ginocchio e a pregare ad alta voce, pregando di uscirne al più presto.  Se c'era davvero un Dio benevolo, forse le avrebbe concesso una morte rapida e la riconciliazione con suo padre nell'aldilà.

Come le mancava, lui e tutti i loro bei ricordi... Le innumerevoli notti in bianco passate intorno al fuoco a guardare le stelle... Ascoltare la storia di come i suoi genitori si incontrarono per la prima volta... Ballare insieme sul tapleto con Bob Dylan in sottofondo, i suoi piedini in equilibrio sui quelli di papà mentre lui le insegnava i passi di danza, giocherellando e ridendo...

Dio, il vuoto dentro, senza qualcuno che la amasse e la proteggesse era come un buco nero nel cuore, un oblio infinito profondamente incastonato nella sua anima.

Strisciò nell'oscurità fino a sentire la ruvida superficie del muro e una volta lì, iniziò a battere i palmi contro la pietra e ad urlare e urlare e urlare ancora e ancora e ancora fin quando la gola non le bruciava e le mani erano completamente graffiate dalla roccia. 
Essendosi liberata da tutta l'energia repressa che il suo gracile corpo riusciva a possedere, riuscì solo ad aggrapparsi al muro, zoppicante, e a piangere.

𝐁𝐥𝐮𝐞 𝐒𝐤𝐢𝐞𝐬Where stories live. Discover now