«La ragazza che ti sta dietro, vorrei evidenziare, è venuta a cercarmi per ricordarmi di "Non azzardarmi a mettere le mani sul suo ragazzo". Il che è molto infantile, Jace», borbottai.
«Anche per una ragazzina senza cervello come lei.»
«Hai ragione», convenne senza batter ciglio.
«Mi dispiace, sul serio, Ella. Potrai perdonarmi? Stai per partire, e non voglio saperti in un altro continente, quando ancora abbiamo una questione in sospeso.»

Mi voltai dall'altro lato, per non continuare a leggere quella supplica tacita nei suoi occhi color caramello.
Rimanemmo in silenzio, uno di quelli strazianti, che sembravano non voler dire nulla, ma che esprimevano anche troppo.

«Ella, tu mi piaci. Non me ne fotte un emerito cazzo se non ricambi, non subito. Volevo solo dirtelo», riprese duramente, costringendomi a riporre su di lui tutta la mia completa attenzione. Nuovamente.

Morsi il labbro inferiore, focalizzandomi sul mio punto di vista. Non dovevo cedere.
«Bella dimostrazione, Jace. Se anche tu mi piacevi almeno un po', ti sei giocato tutto ciò quattro mesi fa. Hai detto a tutti che andavamo a letto insieme, quando in realtà non facevamo altro che studiare ogni dannato pomeriggio. Eri il mio migliore amico, dannazione, e pensavo che un minimo di rispetto toccasse anche a me. Quindi, Jace, non rifilarmi le tue idiozie!» esclamai punta sul vivo, gesticolando animatamente.

Sentii, ancor prima di vedere, le sue dita sfiorare la pelle scoperta della mia spalla sinistra. Un solo tocco mi portava in confusione, la sua presenza mi intimoriva, soprattutto la parte più fragile di me. Io e il problema di affezionarmi in fretta della gente.

Rabbrividii, e mi scostai con una scrollata di spalle.
Era deluso, ferito, arrabbiato, ma io ero tutto questo dieci volte più di lui.

Prima che potesse ribattere, mia madre apparì al mio seguito.
«Jace, sei venuto a salutare mia figlia?» chiese lei serafica, sorridendogli amorevolmente.
Mia madre aveva da sempre immaginato che, prima o poi in un universo parallelo, io e lui saremmo finiti insieme. Mia madre è una donna decisamente fuori dall'ordinario, ma al tempo, teneva a me molto più di quanto credessi. Voleva solo il mio bene, in maniera del tutto propria, e sperava di vedere me e lui arrivare alla sua porta possibilmente mano nella mano.
Assolutamente improbabile, visti i rapporti che cercavamo di mascherare.

Lui ricambiò il sorriso, spostando lo sguardo su di lei, oltre le mie spalle. Era teso come la corda arrugginita di un violino, sul punto di spezzarsi in due. Io, invece, tentavo invano di rimanere il più rilassata e impassibile possibile. Io che, per ironia della sorte, non riesco a rilassarmi nemmeno dopo una tazza di tè.

«Sì, Lena», rispose fermamente, nonostante fosse chiara la perplessità tagliente nelle corde vocali. Il tutto perché aveva inteso che non ero riuscita a raccontarle nulla su come la nostra amicizia si fosse deteriorata.
Dopo poco tornò a guardare me. Avvertii il rumore del casco a contatto col gradino di marmo di fronte la porta, ancora prima di percepire il peso del suo corpo sopra il mio. Mi gettò le braccia al collo, stringendomi a lui, e accostò le labbra al mio orecchio.
«Pensaci, Ella. Non puoi lontanamente immaginare quanto faccia male», gemette sincero. Non sapeva quanto, invece, riuscivo a comprenderlo. Avevo il suo stesso stato d'animo turbato.
«Mi mancherai», sussurrò infine, senza indietreggiare di un passo.

Deglutii a fatica. Non riuscivo a trovare la forza per allontanarlo,  mi sarebbe mancato. Mi alzai in punta di piedi, ancora stretta alla sua presa, accostai la bocca sulla pelle calda della sua guancia, e lo baciai brevemente. Inspirai a lungo il suo profumo muschiato, e mi sentii ebbra.
Dovetti ricompormi, perché stavo mettendo in scena uno spettacolo alquanto degradante per me stessa. Non ci sarei cascata per la seconda volta, non potevo. Mi piaceva passare del tempo con lui, scherzare su quanto il professore di chimica fosse strampalato nelle sue camicie a fiori, e nei pantaloni cachi, o quanto fosse in grado di far risultare l'ora di ginnastica esilarante. Era questo che avrei sempre portato con me. D'altronde, non l'avrei rivisto per chissà quando tempo.
Ripercorsi a ritroso tutto ciò che non avrei più avuto con lui, e il macigno al petto piombò dritto sul mio cuore, scalfendolo ancora e ancora, ripetutamente.
«Ciao, Jace!» Mi mancherai anche tu, avrei voluto aggiungere, ma quando cercai di aprir bocca lui era tornato sui suoi passi.

Worst Love [Luke Hemmings]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora