CAPITOLO 11

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Alla domanda impertinente di Ermal non poté evitare di fare qualche passo indietro. Come se la distanza fisica avesse contribuito a creare quel muro che si stava ergendo intorno per tenere lontani Ermal, i medici e soprattutto le sue paure più profonde. Anche se in fondo sapeva che non era quello il modo di risolvere i problemi, non riusciva a trovare un equilibrio giusto tra il sentirsi oppresso dai suoi pensieri e quello di fermare tutto il mondo a un metro da sé per evitarlo. Non trovava quel giusto intermezzo tra tristezza e apatia. Tanto lo sapevo che quelle fottute paure prima o poi avrebbero trovato una minuscola crepa nel suo muro di finta forza e lo avrebbero colpito lasciando segni sempre più irreparabili. Forse perché scappare nella speranza che tutto sparisse pian piano come era iniziato era più facile che uscirne con le proprie gambe.

Sentì gli occhi di Ermal scorrergli addosso per trovare chissà quale risposta alle sue domande.

«Fabrizio, rispondimi per favore!» aveva fatto un passo avanti e di risposta il più grande lo spintonò via.

Era da anni che odiava la gente che si avvicinava così di scatto a lui con la voce troppo alta. Erano troppi quelli che si erano rivolti a lui in quella maniera.
I primi erano stati soltanto semplici poliziotti che, forse stanchi dalla giornata e per essere stati costretti a passare la loro notte in una macchina fredda della pattuglia a controllare i soliti ragazzini troppo stupidi per prendere in mano la propria vita, piuttosto che in un letto caldo o con la propria famiglia. Spesso era stato beccato in qualche parco con persone che a malapena conosceva in volto e quei poliziotti li rincorrevano finché non riuscivano a prenderne alcuni da portare alla centrale e lì erano guai. Non si veniva aggrediti solo con la violenza delle parole, ma anche con quella fisica. E spesso venivano lasciati liberi di andare il giorno seguente con la speranza che qualcuno uscisse dal giro prima di morire per overdose o finire in qualche centro di recupero. Forse sarebbe stato più utile qualche anno di prigione e il giusto aiuto.
Poi avevano iniziato i medici. Per disperazione si diventava affezionati a qualche ospedale di periferia perché nei momenti di astinenza il dolore diventava così lancinante da sembrare di morire che si andava al pronto soccorso nella speranza che ti dessero qualcosa per calmare quei dolori. Non era affatto così. Le infermiere ti lasciavano seduto in quella sala d'attesa per ore a contorcerti su una sedia di plastica dura con la speranza che qualcuno sarebbe arrivato prima o poi. Ma la maggior parte delle volte si ottenevano solo gli sguardi impauriti e rabbiosi degli altri pazienti e te ne andavi sapendo che nessuno sarebbe venuto ad aiutarti e che se avessi insistito avresti ottenuto solo urla dai medici come "Te lo sei cercato il male" o "Abbiamo pazienti più urgenti".

Poi le urla e quegli atteggiamenti di rabbia erano arrivati dagli amici più stretti. Alcuni in realtà erano semplicemente spariti e poteva capirli che trovarsi un drogato come amico non doveva essere una cosa facile da accettare. Poi c'erano stati quelli che ci avevano provato per un po' di tempo. Che dietro ai suoi occhi offuscati e ai buchi sulle braccia avevano visto un ragazzo con la vita a pezzi e il bisogno disperato di aiuto. Presto però i loro consigli e le loro pacche di conforto sulle spalle si trasformarono in urla e spintoni perché vedere andare a pezzi qualcuno a cui vuoi bene può diventare difficile da sopportare e preferisci lasciarti tutto alle spalle.

Ed infine arrivarono i suoi genitori. Forse quelle furono le urla che più gli fecero male. Quando sua madre lo aspettava sveglia nel cuore della notte e lo accoglieva con il viso rigato di lacrime e non riusciva a trattenere tutti quei perché che gli sputava addosso a cui nemmeno lui aveva risposta. Si ricorda ancora gli sguardi silenziosi di suo padre che gli squarciavano l'anima come se fosse stato il più grave dei suoi errori avere un figlio così.

E in quel momento quando Ermal si era avvicinato così velocemente facendogli domande gli era sembrato di risentire sua madre con la voce incrinata dal pianto. Era solo preoccupazione ma lui non poteva farne a meno di auto convincersi che fosse delusione.

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