CAPITOLO 1

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Luglio era arrivato e con lui il caldo cuocente dell'estate. Di certo non si sarebbe lamentato di quel bel tempo se si fosse trovato a Bari in riva al mare. Solo al pensiero gli sembrava di respirare di nuovo. Invece si trovava ormai da un anno a vivere in uno stretto appartamento di Roma, in uno di quelli che solo un universitario avrebbe avuto il coraggio di affittare. Era impegnato a preparare gli esami per quella sessione estiva e al posto del rumore delle onde del mare c'era il ronzio continuo del ventilatore accesso. Fuori dalla finestra non c'erano altro che case e l'asfalto che sembrava liquido sotto il sole. Almeno si era trovato un posto lontano dal traffico di quella città.

Faceva una gran difficoltà a concentrarsi, le lettere gli sfuggivano da sotto gli occhi che si chiudevano di continuo. L'indomani avrebbe avuto l'esame di inglese e all'una di notte forse continuare a imporsi di rimanere sveglio era inutile. Si stiracchiò alzandosi dolorante da quella sedia su cui era rimasto seduto troppe ore.
Andò a prendersi una bottiglia di acqua ghiacciata per fermare i crampi allo stomaco che iniziò a sentire. Non aveva di nuovo mangiato niente per tutto il giorno. Ma il tempo per andare a fare la spesa non l'aveva trovato e il supermercato era troppo lontano. Si convinse con questa scusa. Bastava non pensarci e la fame spariva, almeno un po'. E poi domani prima dell'esame avrebbe dovuto mangiare qualcosa in più per avere energia a sufficienza.
Prima di addormentarsi prese in mano la chitarra e suonò un po' per scacciare tutti quei pensieri e cercare di addormentarsi con un po' di tranquillità.
Non servì a molto.
La mattina si svegliò già con la testa che girava più del dovuto. Si fece una doccia veloce e corse in cucina. Gli serviva una caffè per affrontare quella giornata e mentre ripassava le ultime cose sul libro mangiò alcuni biscotti, placando finalmente quel vuoto di stomaco. Tanto avrebbe consumato tutte quelle calorie nel tragitto per andare all'università. Andando con l'auto o in autobus sarebbe sicuramente arrivato in ritardo conoscendo quella città.

Certo farsi sotto al sole cinque chilometri a piedi non era stata un grande idea. Era già esausto prima dell'esame. Per fortuna non appena attraverso le porte dell'entrata della facoltà l'aria fresca lo colpì in faccia dandogli un po' di sollievo.
Conosceva poca gente li. I suoi amici erano tutti di Bari o sparsi anche loro in altre città per gli studi e il suo migliore amico, Marco, lo aveva abbandonato per qualche settimana per andare a Milano dalla sua ragazza. Non che glielo avrebbe potuto impedire. Ma così oltre ad essere solo non potevano nemmeno provare con il gruppo. E gli mancava come l'aria non poter suonare.
Raggiunse l'aula al secondo piano dove una lunga fila di persone aspettava il proprio turno per l'esame orale, chi seduto a terra, chi passeggiava avanti e indietro ingannando il tempo. Fortunatamente molte persone non si presentarono e presto venne il suo turno.

Si alzò per entrare e la sua vista si appannò terribilmente.

"E' solo colpa dell'agitazione, passa tutto." Barcollò appena sedendosi di fronte alla docente. Questa lo guardò da sotto gli occhiali mentre segnava qualcosa sul registro che teneva sottomano. Sì, non doveva avere proprio un bell'aspetto in quel momento, ma che gli importava era lì per dare l'esame.

Tra una domanda e l'altra notava lo sguardo indagatore della docente su di sé continuamente. Doveva essere impallidito un po'. Sentiva di star sudando freddo, mentre il sangue gli rimbombava nella testa. La propria voce gli sembrava così lontana mentre rispondeva a fatica alle domande. Finalmente quella tortura finì. Accettò quel 27 che gli venne proposto più per compassione visto che a metà delle domande non si era nemmeno reso conto di cosa stesse parlando.
Voleva andarsene da là subito. Si alzò forse troppo in fretta. La testa girò vorticosamente e fu costretto ad aggrapparsi alla cattedra con una mano per non crollare a terra.

"Sei proprio stupido, non devi svenire qua. Non ti azzardare nemmeno a pensarci per un secondo." prese un lungo respiro.
Si sentì chiamare da una voce preoccupata, forse era più di una. Si prese qualche altro attimo per riprendere fiato e sperare che tutte quelle macchie nere che gli coprivano la visuale se ne sarebbero andare presto.

"Sto bene, grazie. È solo davvero troppo caldo oggi." disse cercando di calmare le persone che ora lo circondavano preoccupate. Si liberò di loro ringraziandole e scappò fuori dalla stanza. Doveva andare a casa, non poteva di certo sentirsi male in un posto come quello sotto lo sguardo di tutti.

Appena uscì il caldo secco gli tolse il respiro.

"Fantastico, non sveniamo all'università, ma in mezzo alla strada si."

Non ce l'avrebbe davvero fatta a ritornare a casa a piedi di nuovi sotto quel caldo.
Decise di prendere l'autobus per fare la strada di ritorno. Raggiunse la fermata sperando che qualche mezzo sarebbe passato in fretta. I minuti gli sembravano passare lenti e il nervoso gli montava sempre di più. Ci fosse stato lì almeno Marco gli avrebbe dato da tenere quella borsa piena di libri che pesava come un macigno sulla sua spalla.
Aveva bisogno di sedersi disperatamente, ma non c'era nemmeno l'ombra di una panchina nei paraggi. Non sapeva chi chiamare. Non c'era nessuno che in quel momento potesse fargli un po' di compagnia. Sentì le lacrime pungergli gli occhi, ma le ricacciò indietro. Doveva stare calmo era solo il nervoso post esame che veniva fuori. Lui aveva il controllo.
Fece un lungo respiro e decise che spendere qualche soldo per un taxi, in quel momento, non era proprio una pessima idea. Una mezz'oretta più tardi si trovava nel suo appartamento. Si lanciò sul divano e si addormentò per qualche ora. Si risvegliò confuso. Erano ormai le 6 di sera. Prese il cellulare e notò ben otto chiamate perse di sua madre e tante altre di Marco. Sospirò, si era dimenticato di doverli chiamare per dirli dell'esame. Chiamò subito sua mamma, sicuramente preoccupata a morte.

"Ermal! Dove eri finito?"

"Mi dispiace, mi sono addormentato appena arrivato a casa. È stata una giornata lunga."

"Va tutto bene, tesoro? Hai una voce..."

"Sì, alla grande, ho solo davvero molto caldo e molto sonno." rispose. Nel frattempo, aveva raggiunto il frigo ancora inesorabilmente vuoto. Si era dimenticato di nuovo la spesa. Sospirò, sta volta sarebbe davvero uscito per andare a comprare qualcosa, altrimenti non avrebbe nemmeno raggiunto il letto. Chiuse la chiamata dopo aver rassicurato sua mamma che sarebbe tornato da loro e dal suo mare.

Doveva aspettarsi che Marco invece non avrebbe risposto di nuovo tanto facilmente, così gli lasciò un messaggio. Si fece un po' di forza e si alzò dal divano e uscì di nuovo.
Non sapeva nemmeno cosa comprare. Vide di sfuggita il suo riflesso su un vetro; non sarebbe mai potuto tornare da sua madre in quelle condizioni. Si immaginava la sua faccia delusa e preoccupata che scrutavano il suo viso con le guance scavate e le occhiaie accentuate. Le gambe lunghe così magre da tenere su a stento i suoi vecchi jeans. Sospirò, indossando i suoi occhiali da sole per nascondersi almeno un po'. Non che agli altri sarebbe interessato più di tanto di lui. Sì, doveva proprio far schifo, ma lui si sentiva bene. Quando arrivava a fine giornata si sentiva un pò più forte. Forse stava sfidando la vita per divertimento, per spingersi al limite. O forse si stava lasciando andare con la consapevolezza nel cuore che non trovava più la mattina quel qualcosa o qualcuno per cui valesse la pena andare avanti, avere un bell'aspetto o mangiare. Pure la sua adorata musica stava perdendo di significato. Cosa serve a suonare se non c'è nessuno che ti ascolta?
Quello che però non sapeva era che il suo corpo aveva raggiunto il limite prima della sua mente e che lo avrebbe tradito lì davanti alle facciate di diversi negozi, su una strada di periferia frequentata da poca gente.
Quel capogiro era arrivato così di colpo da mozzargli il fiato. La vista questa volta si oscurò completamente, non avvertì più nessuna forza per tenersi in piedi. Forse erano passati solo alcuni minuti quando il suono di alcune sirene gli arrivò alle orecchie. Si sentì scuotere qualche volta. Avrebbe voluto chiedere di essere lasciato in pace, voleva solo chiudere gli occhi e riposare ancora un po'.

Il titolo della storia si ispira alla canzone dei The Fray se avete voglia di ascoltarla vi lascio il link

Notes:

Allora questo primo capitolo è solo un esperimento. Non sono sicura di quello che ne è venuto fuori e vedrò se andare avanti ecco. Non è proprio facile scrivere di certi temi. E soprattutto scrivere di Ermal che non mangia è un po' una blasfemia. :') sappiamo tutti di quanto l'hanno fatto mangiare durante i firma copie.
Grazie per aver letto fin qua e scusate eventuali errori.

Mindsinbloom

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