CAPITOLO 9

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Pomeriggio 15.30

«Ermal dove stai andando?»

Fabrizio si alzò di scatto vedendo il ragazzo con la pelle pallida brillare sotto il sole, andarsene a passo svelto chissà dove.

«Dove stai andando?» urlò di nuovo senza risultato.
Con passo veloce cercò di farsi strada tra la gente in costume da bagno che continuava a ridere e giocare bloccandogli il passaggio. Aumentò il passo sempre di più fino a correre, ma in breve il fiato gli venne meno e il cuore pulsava sempre più forte. Inizialmente lo sentiva battere solo contro il petto poi sempre più forte fino a sentirlo nelle orecchie e nella testa. Si fermò con il panico a peggiorare la situazione. Tutta colpa della paura che il suo fisico gli avesse restituito prima o poi lo stesso trattamento che lui gli aveva riservato fino a poche settimane prima. Si sedette sulla prima panchina che trovò disponibile, riprendendo il controllo di sé. Andava tutto bene. Doveva andare tutto bene. Non avrebbe permesso alle sue stronzate di prendere di nuovo il sopravvento. Di perdere di nuovo qualcosa di prezioso. Fece grandi respiri puntando lo sguardo sul mare. Ermal lo trovava il posto più rilassante del mondo. Si concentrò sul ritmo regolare delle onde che andavano a infrangersi sulla sabbia e tra le gambe della gente. Gli venne in mente il sorriso malinconico di Ermal quando parlava di quella distesa di acqua e sale. Sì, forse il mare poteva piacergli.

Si alzò di nuovo passandosi una mano sul viso. Doveva chiamare l'ospedale nonostante fosse molto probabile che quanto accaduto non avrebbe portato nulla di buono a nessuno dei due.

«Salve, vorrei parlare con il reparto di degenza»

Dall'altra gli risposero di attendere e dopo quasi un minuto di attesa sentì una voce piuttosto familiare.

«Nic, è successo un casino. Ermal è scappato.»

«Li mortacci!»

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Mattina 7.30

Quella mattina, quando finalmente si erano ritrovati da soli seduti sul treno che li avrebbe portati dritti al mare, sembrava andare tutto bene. Erano settimane che non uscivano da quelle stanze dalle mura bianche, sempre circondati da medici, infermieri e persone che li guardavano con diffidenza o preoccupazione. In quel momento invece gli sembrava quasi di essere tornati alla vita di tutti giorni, anche se il bracciale di plastica che portavano al polso gli ricordava che quello era un momento prezioso che il destino gli stava concedendo e che la loro realtà era rimasta lì in quell'ospedale ad attenderli fino alla sera quando sarebbero tornati. Le persone che passavano e adocchiavano i loro polsi sgranavano gli occhi e si capiva che un miliardo di domande iniziavano a frullare nelle loro teste. Loro invece si sentivano come due fuggitivi nel posto sbagliato.
Ermal più di tutti si era rannicchiato il più possibile sul sedile. Gli occhiali da sole sul volto e lo sguardo puntato fuori dal finestrino troppo sporco per vederci veramente fuori qualcosa. Ogni volta che sentiva la gente borbottare parole sottovoce si sistemava con fare nervoso e Fabrizio si accorse solo una decina di minuti dopo che l'altro stava cercando di togliersi il braccialetto dell'ospedale arrossando tutta la pelle del braccio. Allungò la propria mano intrecciando le dita tra quelle sottili e gelide dell'altro, che strinse con forza la sua mano.

Forse i segnali che qualcosa non andava c'erano stati fin da subito, però non ci aveva dato troppo peso.

Il viaggio era durato non più di un'ora e mezza che passarono scambiandosi più canzoni condividendo un paio di cuffie che parole.
Adesso erano lì, gettati nel mondo. Due anime che si confondevano con tutte le altre. Si sentivano quasi come perfetti sconosciuti se non fosse stato per il dolore che la vita gli aveva imposto e che condividevano. Fu fuori da quella stazione che Fabrizio si accorse che la strada che doveva percorrere per raggiungere forse un pò di tranquillità, di felicità o semplicemente qualcosa di diverso da quello che aveva sempre avuto era davvero lunga, non aveva nemmeno la certezza che ne avrebbe visto davvero la fine. In quel momento sentì una sensazione nuova, un misto terribile tra malinconia e vuoto. Possibile che il mondo fosse così grande e che non ci fosse un angolo di Terra in cui si sentisse nel posto giusto. Ermal lo stava guardando con gli occhi dipinti delle sue stesse emozioni. Almeno potevano sentirsi soli insieme. Gli sorrise passando una mano tra quei capelli ricci con una carezza. Aveva paura che quel ragazzino si aggrappasse troppo a lui, che cercasse in lui risposte che non avrebbe mai trovato, eppure allo stesso tempo gli avrebbe concesso qualsiasi cosa. Anche se non sapeva nemmeno lui qual'era la strada, avrebbero potuto cercarla insieme.

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