Lo spacciatore

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Giuro su Dio, non ho mai spacciato emozioni.

E anche se le pareti spoglie di questa cella raccontano un'altra storia, io lo giuro su Dio che quella roba non l'ho mai venduta.

Perché nella vita ho fatto di tutto e non rimpiango nulla: ho rubato, ferito, ammazzato, ma non ho mai smerciato quella droga abominevole.

Ci sono limiti che anche io non voglio superare.

L'ha chiamata Arte, la ragazza che ha provato a vendermela.

Sconforto dilaniante condensato in poche pennellate, passione incontrollabile nascosta in una vecchia cassetta, rabbia prorompente sintetizzata in poche righe: ricordo che guardai quella scatola così preziosa con terrore e sconforto.

Esistevano davvero persone così arroganti, così meschine, da voler forzare in altri esseri umani delle sensazioni che non appartenevano loro?

Esistevano davvero questi spietati manipolatori?

Nei libri di storia c’è scritto che una volta gli artisti, erano addirittura idolatrati e incoraggiati.

Ma io li ho visti, gli strafatti di emozioni, eccome se li ho visti: uomini in lacrime davanti a un foglio sporco di colore, donne con gli occhi chiusi, rapite da suoni a me alieni, addirittura bambini in preda alle convulsioni per storie di carta definite divertenti.

Sarebbero stati meglio morti.

Eppure mi ha incastrato, quell’infame, mi ha incastrato: quando la polizia ci ha visti, ha finto fossi io che tentavo di venderle la roba.

Ed è più facile condannare una faccia da assassino, piuttosto che una ragazzina dallo sguardo innocente.

Rammento che, prima che mi portassero via, la stronza ha pure versato una lacrima.

Come se la mia condanna fosse affar suo, come se fosse lei a dover passare il resto della sua vita in isolamento per aver violato uno dei diritti umani di base: l'indipendenza emotiva.

Come se io fossi lei, come se provassimo le stesse sensazioni.

“L'Arte non è forzare le emozioni” -aveva detto ipocritamente- “è aiutare a esprimerle.”

Bugia.

L'Arte è abominio, decadenza: più dolorosa di una coltellata, più crudele di un furto.

È esaltazione delle smanie di potere di questa specie, dell'umano bramare l'onnipotenza: più umiliante della schiavitù, più empia di una bestemmia.

Eppure, quella lacrima…

Ora che ci penso, era quasi piacevole.

Era figlia dell'Arte?

Era abominio e decadenza? Era esaltazione di empia arroganza?

Sì.

Eppure…

Eppure, era così calda.

Empatia.

Era così che l'aveva chiamato, la ragazza, l'effetto di quella droga.

Empatia. Empatia. Empatia.

Echeggia nella mia mente, rimbalza con furiosa veemenza, prende ogni mio altro pensiero e lo fa suo.

Allora piango.

E non piango perché morirò solo, né perché sono stato sfortunato.

Non piango perché sono pentito dei miei crimini, né per i miei rimpianti.

Piango per quella ragazza, per il fatto che non saprà che, alla fine, l'ho perdonata: la sua felicità sarà sempre intaccata dal rimorso, il suo spirito divorato dal senso di colpa.

Tra le pareti spoglie di questa cella, giuro su Dio, non ho mai spacciato emozioni.

Forse però, ora che ci penso, avrei voluto farlo.

Notti di NovembreWhere stories live. Discover now