Le anime sole

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Noi anime sole siamo facilmente riconoscibili: abbiamo gli sguardi persi e vestiti senza pretese, le mani in tasca e i lacci delle scarpe annodati male.

Cessiamo di vivere nel momento stesso in cui veniamo al mondo: ci fanno nascere, poi ci ripiegano, c'impacchettano e ci esiliano nelle terre sconfinate della nostra mente, dove non possiamo fare danni, perché il silenzio è l'unica cosa che loro vogliono da noi e l'unica cosa che noi non possiamo dare loro.

Urliamo fino a graffiarci la gola in deserti di pianti muti nella speranza che qualcuno ci senta, che ascolti quello che abbiamo da dire.

Ma nessuno sente mai: siamo soli nella nostra mente.

Sentiamo, dialoghiamo, litighiamo con noi stessi finché non arriviamo a distruggerci, consumati e poi spezzati da una guerra senza vincitori né vinti.

Noi anime sole siamo facilmente riconoscibili e, in questa sera di novembre, alla fermata della metro, siamo almeno in due.

Il ragazzo seduto accanto a me ha un buon profumo, gli occhi grandi e scuri.

Si passa una mano tra i riccioli e sospira. Quasi mi concedo un sorriso: anche io lo faccio spesso.

Sembra studiarmi con uno sguardo furtivo, poi torna a fissare il vuoto.

Il mio cuore perde un battito: sarebbe amore se io e lui non fossimo ciò che siamo.

Perché alle anime sole hanno insegnato che ad amare e ad amarsi si perde il sentiero, che l'unico affetto che si può provare è la cieca venerazione per il buio del proprio claustrofobico angolo di mondo.

Per un istante immagino di baciarlo. Un'immagine in una frazione di secondo, poi vuoto.

Siamo uguali, io e lui: sarebbe bello poterci amare.

Lo osservo con la coda dell'occhio: avrà la mia età più o meno, tra i sedici e i diciotto di sicuro.

Vorrei chiedergli se anche a lui dicono che è solo l'adolescenza, quando noi ne vediamo, ne vediamo decine, di vecchi che guardano la vita con la stessa amarezza con cui la guardavano a vent'anni.

Perché noi anime sole siamo facilmente riconoscibili e sappiamo dove cercarci.

Vorrei raccontargli di quel vuoto incolmabile che mi corrode giorno dopo giorno, che pare aver scommesso con la morte su chi riuscirà a strapparmi prima a questo mondo.

Vorrei domandargli se a volte anche lui si sente solo in mezzo alla folla, se si sente perennemente fuori posto.

Vorrei parlargli, ma alla fine non gli dico nulla.

Il rumore della metropolitana spezza le nostre grida mute: lui mi lancia un’ultima occhiata, poi sale sul treno.

Mi abbasso per allacciarmi una scarpa.


Notti di NovembreWhere stories live. Discover now