Maurine

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- Brian Jones.

Era inutile. Non aveva più senso stare là, in quella città orrenda, con una vita orrenda, con una faccia orrenda. Londra mi faceva schifo e la vita londinese con quel corpo londinese che mi ritrovavo anche. Volevo mettere un punto sulla mia storia, uno di quelli che chiudono l'intero tema.
Mi sono seduta sul corrimano del London Bridge, le acque del Tamigi sembravano fredde solo a guardarle, era buio e le luci della città illuminavano il ponte abbastanza da vedere le acque che sovrastava. Stavo piangendo, sentivo il freddo di dicembre ghiacciarmi le lacrime sulle guance, ma non mi interessava, avevo bisogno di farla finita.
Da Glasgow mi ero dovuta trasferire a Londra, ero rimasta incinta di un coglione e non potevo tenere il bambino perché il mio capo di allora mi aveva detto esplicitamente:" O lavoro, o famiglia." Appena l'ho scoperto, non ho neanche provato a dirlo a quel demente che mi ero scopata, sono direttamente andata a comprare un biglietto del treno per Londra. Sono durata un mese, dopo aver abortito spontaneamente (mi sono letteralmente ingoiata quindici pasticche di cocaina), ho trovato lavoro in un locale notturno tipico di Londra e la mia vita ha continuato ad andare avanti. Non bisogna neanche dire che vita di merda fosse.

Quella notte avevo deciso che non sarei resistita un altro mese, un altro giorno, l'aborto era stato brutto da sopportare e il lavoro che facevo non aiutava per niente.
I miei capelli biondi stavano iniziando ad incresparsi, il vento inglese si era alzato e sentivo sempre di più l'impulso di lasciarmi cadere tra le acque gelide.

«Ma che..?»

Mi sono spaventata e mi sono girata di scatto, perdendo la presa dal cornicione, un ragazzo mi è corso subito incontro e mi ha trattenuta, impedendomi di cadere dallo spavento:

«Hey tutto ok? Non mi sembri molto lucida.»

Aveva i capelli a caschetto, biondi, gli occhi di un azzurro che non avevo mai visto in vita mia, la pelle di porcellana e un viso perfetto: era il ragazzo più bello mai esistito. Sono rimasta a fissarlo per un po', sorpresa da tutto quello che era successo:

«Oh no, sono solo un po'...» mi sono messa in piedi, accanto a lui, sul ponte «frastornata. Grazie per la presa.» mi sono sforzata di sorridere.

«Sei sicura di star bene? Stai piangendo...» aveva una voce bellissima, roca e sensuale.

«No, cioè sì...» e sono scoppiata a piangere come se fossi una bambina, non sono riuscita a trattenermi. Lui ne è rimasto un po' sorpreso, poi mi ha abbracciato impacciatamente, dopotutto ero una sconosciuta per lui.
Io mi sono sfogata sulla sua spalla, mi sentivo una stupida, come potevo piangere davanti ad uno che non conoscevo neanche?

«Come ti chiami?» mi ha chiesto, porgendomi un fazzoletto di cotone azzurro.

«Sono Maurine.» mi sono asciugata delicatamente le lacrime con quel pezzo di stoffa.

«Piacere, Brian.» mi ha sorriso e mi ha preso la mano.

Dopo una lunga passeggiata in compagnia di Brian, siamo arrivati davanti al mio appartamento: una mezza stanza ridotta molto male. Si è fermato davanti a me e, con il suo sorriso fantastico, ha detto:

«Quindi siamo arrivati...mi dispiace, a dire il vero.» si è messo le mani in tasca e ha abbassato la testa.

«Perché?» ho chiesto, tirando su con il naso.

«Perché sei simpatica e avrei voluto passare più tempo con te, la tua storia è veramente interessante ed è come se volessi aiutarti in qualsiasi modo...» mi stava guardando intensamente negli occhi, io ero pietrificata dalla sua bellezza.

«Facciamo così, io sto cercando di formare una band, si chiamano Rolling Stones. Se per caso dovessi sentire questo nome, vieni al concerto. Io sarò lì.»

«Ma...sicuramente non avrò i soldi per il biglietto» ho detto, maledicendo il mio lavoro «e poi sicuramente non ti accorgerai di me.»

«Ma che scherzi? Tu vieni e provaci, di' che ti manda Brian Jones. Se non ti credono...» si è guardato in tasca e ha preso il fazzoletto azzurro «mostra loro questo.»

L'ho preso e me lo sono girato tra le mani, in un angolo aveva le iniziali B. J., ho sorriso mentre lo guardavo, Brian mi ha spostato i capelli dal viso e ha detto, sorridendo:

«Per favore, fatti sentire. Non voglio ritrovarti spiaccicata a terra dopo che ti sei buttata dal Big Ben.» mi ha accarezzato una guancia e si è girato, ripercorrendo la strada al contrario.

Sono rimasta quasi cinque minuti lì a guardarlo mentre se ne andava, con un sorriso da ebete sulle labbra e la voglia di averlo accanto a me, mentre mi sorreggeva. Quel ragazzo era speciale, aveva qualcosa che mi attirava e non era solo la bellezza. Inoltre aveva una band, io adoravo la musica. I Rolling Stones. Non dovevo dimenticarmi assolutamente quel nome.

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