La Gabbia

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Il viaggio in macchina era durato una mezz'oretta. Ad un certo punto della statale mio padre e i poliziotti dietro di noi si erano avvicinati al confine con l'erba fino ad accostare completamente le macchine e fermarsi.

Ti hanno trovata qui
Eri sdraiata sull'erba non molto distante, visibile dalla strada

Ero scesa dalla macchina.
Mia madre in tono strozzato aveva chiamato il mio nome. Mio padre e i due poliziotti erano subito scesi anche loro.
Ho superato il Guarda Rail e dopo qualche passo mi sono fermata.
Ancora una volta il vento che mi schiaffeggia il volto, che mi dice torna indietro ragazzina, non ti basta?
Chiudo gli occhi e respiro l'odore dell'erba

No, non mi basta

Sento dietro di me le grida di mio padre e del poliziotto

Isabella
Isabella no
Fermati

Inizio a correre in modo forsennato.
Lo so dove devo andare. Lo sento. L'ho capito immediatamente appena ho chiuso gli occhi. Ho passato troppi anni dentro la gabbia. So verso dove devo correre anche se non lo so concretamente. Mio padre e un poliziotto corrono dietro di me, l'altro è rimasto a trattenere mia madre che urla disperata.
Ho poco vantaggio su di loro e l'effetto sorpresa ma se non mi fermo magari posso arrivare dove le gambe mi porteranno.
Penso che vado incontro alla morte ma non fa niente, così sia. Se veramente mi ha liberato, mi ha restituito ad un mondo in cui non so più vivere, non ne sono più capace. Non può vincere ancora una volta lui. Di rimanere in vita non mi importa più. Me l'ha già tolta una volta la mia vita. Deve portare a termine la sua opera.
Mostro, mostro maledetto.
Le lacrime iniziano a solcarmi il viso.
Ci sono degli alberi, come un principio di foresta. È fitta ma io ci passo facilmente. Mi procuro graffi e ferite ma non rallento, posso accumulare altro vantaggio qui. Loro avranno più difficoltà nel passarci.
Li sento gridare il mio nome ma corro, corro fino a togliermi il respiro.
Gli alberi dopo un po' diventano sempre più radi ed ora che la visuale è più libera mi concedo un secondo per visualizzare l'ambiente circostante.
Cristo Santo, ancora una volta, so dove guardare.
Ai piedi della collinetta, quasi avvolta da essa c'è una casetta. Sembra disabitata, è in rovina.
È lì la mia gabbia.
È lì il mostro che aspetta me. Ora lo so.
Le grida del poliziotto e di mio padre mi spingono a riprendere la mia corsa. Sono arrivata. Non posso farmi raggiungere ora. Non mi permetteranno mai di entrare se mi prendono. Devo correre.
Corpo non abbandonarmi.
Devo correre.
Dieci metri, otto, sette, tre
Allungo la mano.
Sbatto con tutta la forza della corsa contro la porta che si apre. Non è chiusa a chiave.
La puzza di umido e chiuso mi stordisce per un attimo. È buio, è tutto sbarrato.
I miei occhi ci mettono un po' ad abituarsi al buio. E inciampo in non so nemmeno che cosa. Grido, grido come una pazza, quasi fino a scuotermi tutto il corpo

Mostro
Mostro lo so che ci sei
Mostro

E mentre grido e mi giro intorno la vedo.
La botola.
La botola che porta alla gabbia.
Mi ci butto contro, l'apro.
È lei. Ci sono le scale e alla fine un'altra porta.
Dopo quella porta c'è la gabbia.
La mia gabbia. E li dentro c'è lui.
Mi butto sulle scale, ma con la coda dell'occhio vedo mio padre e il poliziotto sulla porta d'ingresso. Mio padre grida

Isabella fermati

Il poliziotto con la pistola in mano bruscamente lo supera e si dirige verso di me ma io riprendo la mia corsa.
Ho ancora un minimo di vantaggio.
Allungo la mano sulla maniglia della porta.
È aperta.

QUESTA STANZAWhere stories live. Discover now