Il Carceriere

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Dell'inizio non ricordo quasi più nulla. Mi dava dei forti tranquillanti, dei sonniferi sia di giorno che di notte. Era tutto molto sfocato. Sdraiata su quel letto vedevo in maniera distorta la stanza che poi sarebbe diventata la mia gabbia. Le mie domande erano confuse. Non riuscivo ad ordinare i pensieri mentre mi portava in bagno a fare pipi. Poi di nuovo il letto, una pastiglia, un po' di acqua e di nuovo il buio.

Smaltire la mole di medicine che mi aveva dato non era stato facile. Eliminare completamente lo stordimento sembrava essere una lotta senza fine e poi il mal di testa era sconcertante. Non riuscivo a tenermi in piedi. Avvertivo però dei cambiamenti , ero sdraiata su qualcosa di freddo e duro.

Il primo ricordo che ho è di lui seduto a letto che mi fissava. Io sono legata in quello che poi diventerà il solito angolo. Sdraiata per terra. Come assumo una posizione eretta vomito, e sono di nuovo ad un passo dal pavimento. Il mostro non si scompone, si alza, va in bagno a prendere uno straccio e inizia a pulire. In maniera confusa faccio le prime domande. Dove sono, chiedo di mia madre, chiedo chi sia, cosa vuole. Il mostro mi ignora, finisce di pulire e torna a sedersi dov'era prima.

In pochi secondi perdo le staffe, urlo, mi rialzo, cerco di liberarmi, do calci al muro, gli grido contro, lo insulto.
Nulla.
Inizio allora a piangere. Voglio la mia mamma. Voglio tornare a casa. Se è una questione di soldi piagniucolo che i miei genitori pagheranno qualsiasi cifra.
Scuote la testa.
La prima reazione.
Lo guardo per alcuni istanti, smetto di piangere

E allora cosa cazzo vuoi

Gli urlo contro.
Torna la rabbia e inveisco di nuovo.
Ma non serve a nulla.
Aspetta.
Poi si alza, mi spiega che va via ma ritornerà. Lascia il cibo e l'acqua nella ciotola e mi chiede se devo andare in bagno.
Dopo la parola ciotola già non lo ascoltavo più e stavo focalizzando la mia attenzione sull'oggetto che era al mio fianco e che non avevo notato prima.
Ho una ciotola. Torna la rabbia.

Cosa cazzo credi che mi metto a mangiare in una ciotola come un fottutissimo animale. Tu sei pazzo! Mi devi lasciare andare.
Hai capito mostro

Era già alla porta. Andava via.

Le cose sono andate avanti così per giorni e giorni. Domande, rabbia, urla, pianti, rabbia, altre domande e andava via.
Erano passati mesi. Ma io ancora non avevo idea di quanto ancora sarebbe passato.

Ha iniziato a darmi delle piccole libertà, sempre e solo quando c'era lui. Ovviamente tutte le volte che mi liberava cercavo di assalirlo, picchiarlo. Tutto inutile.
Mi legava di nuovo e si ripartiva da zero. Quanto tempo così? Sei mesi, un anno, un anno e mezzo... Non lo so, non lo so veramente.

Ora finisco all'angolo solo se deve punirmi per qualcosa. Nella gabbia c'è lo stretto necessario e tutte cose più o meno innocue anche se per uccidermi ho provato ad attaccarmi a tutto, senza mai riuscirci.
Se sono sola mangio quello che lascia in frigo, se c'è lui io mangio quello che prepara senza l'utilizzo di forchette o altro, ma con le mani. Con il tempo mi ha allungato qualche forchetta di plastica che poi mi ha subito ritolto.

La cosa che gli premeva di più è che smettessi di provare a uccidermi e quando sono arrivati i libri le cose sono un po' migliorate, anche se erano una sua potente forma di ricatto nei miei confronti.
All'inizio chiudeva anche la porta del bagno a chiave, potevo usufruirne solo se c'era lui e dovevo fare tutto in sua presenza. Provavo a rifiutarmi ma poi i dolori di stomaco lancinanti non mi hanno permesso di insistere. Solo dopo molto tempo il bagno è diventato una stanza utilizzabile in qualsiasi momento a meno che non venissi legata.

Dorme tutte le sere con me. Ma io devo addormentarmi prima. Mi da delle gocce molto forti che nel giro di un paio di minuti mi buttano giù completamente e crollo addormentata. Ovviamente non può rischiare che nella notte io provi a fargli del male, per cui mi mette fuori gioco. Inutile dire che nel tempo ho provato a rifiutarmi di prenderle lottando, scappando... Ma niente da fare, è molto più forte di me.

Ora mi viene da ridere quando ripenso a come mi nascondevo quando lo sentivo arrivare. In quegli istanti preferivo quasi tornare ad essere legata, era più rassicurante. E tutti quei pensieri e quelle ipotesi che mi spaccavano in due il cervello tutte quelle ore che lui non c'era. E le lacrime. Le lacrime di tutta una vita.

In seguito all'episodio della televisione ero completamente distrutta. Una settimana dopo era sceso con un pezzo di stoffa tutto ripiegato tra le braccia.
Mi aveva portato un gattino.

Aveva sistemato tutto il necessario nella gabbia. Addirittura anche il tiraunghie e la lettiera nel bagno, ma io mi rifiutavo anche solo di avvicinarmici. Non controllavo se aveva acqua o crocchette o se si incastrava da qualche parte. E assolutamente non volevo dargli un nome.

Se mi devi legare di nuovo per punirmi di qualcosa dovrò dividerci la ciotola dell'acqua?

Il mostro non rispondeva.
Quando c'era se ne occupava lui aspettando che lo facessi io.

Inevitabilmente il gatto cercò le mie attenzioni. Eravamo solo io e lui nella gabbia. E io a poco a poco mi abbandonai alle sue coccole, alla voglia di giocare, di rotolarsi. Avevo molto più bisogno io di lui che lui di me. Iniziai ad amarlo in modo totale, non permettevo più al mostro di toccarlo. Era mio. Solo io potevo godere di lui. Non gli avevo dato lo stesso un nome o meglio lo chiamavo semplicemente Gatto e lui arrivava.
Ovviamente sapevo che l'altra faccia della medaglia era il dolore e la disperazione che avrei provato se lui me l'avesse tolto. Facevo finta di non pensarci perché Gatto mi aveva ridato calore, un nuovo sangue, nuovi pensieri, nuovi desideri.

Tornare ad avere speranze significava fare nuovi tentativi per cambiare la mia sorte. E di conseguenza essere punita.
Gatto mi aveva ridato la forza e nel tempo avevo ripreso vigore.
Ma con il mio ultimo gesto io avevo esagerato. E il mostro mi aveva tolto Gatto.

Era finita. Ora volevo solo morire.

QUESTA STANZAWhere stories live. Discover now