L'urlo

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Sono passati più di cinque anni. Probabilmente peso la metà, i miei capelli sono lunghi e rovinati, le mie mani distrutte dallo scavare. Gli occhi si sono infossati e molto spesso ho dolori lancinanti allo stomaco che mi levano il respiro.
Mangio solo quasi frutta.

Ho praticamente solo due tipi di indumenti. Tute e pigiami.

Dopo l'episodio della televisione non ho avuto più alcun tipo di contatto con la realtà circostante. Per quanto ne so in questi anni siamo finiti sotto dittatura oppure i cinesi hanno invaso tutto e si cibano delle nostre carni. Non è stato mai fatto un tentativo con la radio. Giornali non ne parliamo nemmeno.

Le mie amiche saranno all'università, forse qualcuna già lavora, non so.
La mia famiglia non mi chiedo nemmeno cosa faccia. Non posso pormi questa domanda.

Con il passare del tempo e in base ai miei comportamenti dopo lo Zibaldone ho avuto altri libri. Per primo è arrivato Orwell,poi Moby Dick, poi Kundera. Cera una certa sottile ironia nelle sue scelte? Me lo chiedevo spesso. Forse la caccia a Moby Dick era un chiaro messaggio per me. Sono io la balena bianca e lui è il capitano, ma il finale non coincideva con la nostra situazione. La balena alla fine distruggeva tutto. Aveva la meglio.
Nel tempo ho vissuto al fianco dei fratelli Karamazov, ascoltato il dolore di Anna Karenina, vissuta in pace e in guerra con Nicolaji e Natasa. Ed è stato fondamentale per me, ma quando chiudevo il libro e tornavo alla mia realtà c'era solo e sempre la gabbia.

Negli anni ho imparato a vivere legata. A mangiare in una ciotola. Ad aspettare il suo arrivo per fare la pipi e a farmela addosso. A provocarmi il vomito, ad accettare di andare con un mostro. A mangiare con le mani.
Dio Santo... Mangiare con le mani.
Ad essere docile e ad essere in una guerra costante. Ero sempre lì, sempre lì con lui.

Dopo l'episodio del gatto era cambiato qualcosa. Come un click nella mia testa. Avevo sopportato in quegli anni cose che non avrei mai creduto, ma la perdita di Gatto era immensamente troppo. Non potevo farcela, non potevo ripartire.
Non dopo quello. Era finita.
Dopo le urla e la lotta mentre lo prendeva e lo portava via mi sono concessa un'ora per piangere la privazione dell'unico essere che avevo amato dopo i 17 anni.

Di nuovo sola nella gabbia avevo iniziato a riflettere. Dovevo trovare una soluzione, perché era finito tutto. Non esisteva più un briciolo di speranza, di bisogno di andare avanti, di credere che forse qualcuno mi avrebbe trovata. Nessuno sarebbe venuto, meno che mai dopo tutti quegli anni.
Il mostro non aveva nessun tipo di collegamento con me e la mia vita, probabilmente la polizia non aveva trovato nemmeno una pista concreta.
Non potevo andarmene da lì, ma non potevo nemmeno più starci.
Dovevo lasciarmi morire.
Non c'era altra possibilità.

Dopo tutto quel tempo mi è sembrata la cosa più naturale possibile, come non averci pensato prima. Forse non volevo veramente morire prima o forse la mia disperazione non era così totale, credevo ancora che le cose potessero cambiare.

Il mostro inizialmente mi aveva lasciato fare. Non toccavo l'acqua, non mangiavo. Mi rifiutavo di lavarmi. Ero sostanzialmente innocua, non gli creavo problemi.
Nel giro di pochi giorni ero peggiorata notevolmente. Il mio corpo già debilitato si stava facilmente ritirando.
Il mostro allora si era attivato. Aveva cercato di nutrirmi in ogni modo, ma non c'era stato verso. Mi provocavo il vomito non appena con la forza riusciva ad infilarmi un boccone in bocca e anche quando mi legava tutto il corpo per immobilizzarmi non poteva impedirmi di risputare il cibo. Era tutto inutile. Avevo finalmente vinto.
Aveva provato anche a nutrirmi con la flebo, ma non appena lasciava la presa strappavo l'ago facendomi anche danni concreti. E se mi immobilizzava per tutta la durata appena finiva mi provocavo il vomito. Non poteva costantemente con la forza avere la meglio. Questa battaglia non l'avrei persa, non mi sarei stancata per prima. Desideravo così concretamente morire che avevo la forza nonostante tutto per continuare a sputare e vomitare il cibo.

L'arrivo della febbre mi aveva fatto sentire più leggera. Stavo per morire veramente, ero libera... Libera.
Il freddo mi scuoteva come un terremoto continuo e iniziavo a perdere lucidità. Il mio calvario era la mia felicità.
Il mostro aveva finalmente paura, in alcuni momenti riuscivo a capire il panico che lo attanagliava. Aveva anche ritrovato la parola. Aveva pianto, aveva urlato, mi aveva colpito.

Io adesso muoio e tu non puoi farci nulla mostro

L'ultima cosa che vedo è la rabbia dei suoi occhi e le sue braccia che come una furia si lanciano su di me, poi il buio.

Quando riapro gli occhi stordita, confusa e talmente debole da non riuscire a muovermi , quello che vedo mi fa uscire dalla bocca l'urlo sordo e spaventoso che solo la bestialità della mia situazione può concepire.

QUESTA STANZAWhere stories live. Discover now