4 Dove si descrive come Odetta finisca col perdere o tradire Dio?

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Odetta sta ora china su una grande cassapanca (nella sua piccola camera, lì dove per la prima volta ha conosciuto, nel corpo del giovane ospite, l'amore). Questa cassapanca, Odetta, con la nuova pazienza distaccata e un po' buffoncella, con cui agisce in questi giorni della sua vita, sta svuotandola completamente.
E non è affare da poco, perché in quella cassa-panca è contenuta tutta la sua infanzia, rappresentata da un'infinità di cimeli, alcuni facilmente riconoscibili, altri solo riconoscibili a lei, Odetta, e altri- menti senza significato, valore e addirittura forma.
La cassapanca lentamente si svuota, finché in fondo, proprio in fondo, e quindi letteralmente sepolto, appare l'album delle fotografie. Essa lo tira fuori, quasi con sgarbo, come si fanno i gesti abitudinari senza più incanto, e comincia a sfogliarlo.
Presto giunge alle pagine dove sono infilate le piecole fotografie fatte al padre e all'ospite: fotografie sbiadite e sfuocate, come se fossero molto più vecchie di quello che in realtà sono, Odetta le osserva a lungo, a una a una (sono una decina).
In una, l'ospite ha smesso di leggere il libro a cui era intento, ha alzato la testa, e sorride; in quella posizione, con inavvertito gesto giovanile e virile, ha allargato le gambe: e la bellezza del suo corpo appare in tutta la sua violenza. Odetta passa l'indice, magrolino, su quel corpo, come per riconoscerlo e accarezzarlo insieme. È un gesto diligente, ma incerto e puerile, che segue malamente il disegno della figura fotografata, fino a sfiorarne il grembo. Ma a questo punto, d'improvviso, Odetta chiude la mano, stringendo il pugno.
Si alza, e va a gettarsi sul letto, con la faccia contro il cuscino. Non è chiaro se pianga, o faccia per scherzo. Ma quando, dopo molto tempo, si rivolta con la faccia in alto, irrigidendosi sopra il letto, la sua espressione è del tutto mutata: non ci sono più smorfie, sorrisi, lezii, umorismi, insomma distrazioni o manovre di difesa. Essa è diventata inespressiva, immobile, attenta: guarda il vuoto, in alto, e solo una specie di stupore non l'ha ancora abbandonata alla completa atonia.
Il buio che invade la stanza sembra avere quasi un significato cosciente: il passare del tempo, che segue una sua inutile fatalità: la sera è fatta per dei doveri improrogabili, e chi vi manca sente il dolore di una libertà che gli pare atroce. Il buio è una lezione: una lezione che dà ragione ai padri e ai padri dei padri, che predicano normalità e dovere. Infatti non manca una campana, sia pur lontanissima, e delle voci, più vicine (mescolate forse a qualche indefinibile musica, accento di vita famigliare, al termine di una giornata di lavoro); e an- che dei segni di vita dentro la casa.
Ma Odetta sembra insensibile a tutto: alla lezione tragica del buio, e alle consolazioni che esso suggerisce, ai doveri mancati e alla terribile libertà del nulla con cui essa ha sostituito la vita quotidiana.
Resta ferma, distesa sul suo letto, con il viso in alto, il collo tirato.
È così che la nuova Emilia la trova, quando viene a chiamarla per la cena, e accende la luce. Una luce veramente inopportuna e assurda, perché scopre una realtà che non solo è più sostenibile, ma più vera, se protetta dal buio.
Così la nuova Emilia, preoccupata - coi suoi grandi occhi già perpetuamente, di per sé, spaventati - scuote prima lievemente e poi, fin dove glielo permette il rispetto, un po' più forte, Odetta. Odetta però non la vede e non la sente. Toccandola sulle braccia - per convincerla, povera nuova Emilia, ad andare a cena - essa si accorge che un pugno, il pugno della mano destra, è strettamente chiuso.
Per quanto ciò possa sembrare ormai illogico, tutta la famiglia è intorno al capezzale di Odetta (è giorno, la luce entra trionfale dalla porta a vetri). Ognuno di essi è comunque solo, a compiere il suo dovere famigliare. C'è anche - anzi è il protagonista - il vecchio medico di famiglia, che, appena finita la sua visita, guarda quella povera personcina distesa, e raccoglie, scettico e desolato, i suoi strumenti.
In fondo al braccio disteso contro il fianco, e tenuto ben aderente al corpo, il pugno di Odetta...
Ormai nella vita di Odetta non cambia più nulla: si è stabilita e fissata per sempre in quel modo assurdo e deludente. Essa è li, nel suo letto, ferma, con la faccia in alto, gli occhi senza alcuna commozione, con solo un po' di spavento fissi nel vuoto e il pugno stretto contro il fianco.
Ma ecco che la nuova Emilia, entra spaventata dentro la stanza (ora vuota), aprendo la. porta con la delicatezza dei contadini poveri - perché è contadina anche lei - che si sentono sempre in colpa, e hanno sempre paura di disturbare. Entra con gli occhi sgomenti, perché, se davvero stavolta la colpa fosse sua, sarebbe proprio una grande e terribile colpa.
Guarda verso il letto dove la padroncina è distesa, poi guarda fuori nel corridoio, poi di nuovo verso il letto, dove quel corpo distratto non si è nemmeno accorto di lei.
Dalla sua bocca, esce, ingenuo e affannato un richiamo: « Pa- droncina! » come per avvertirla, di un nuovo pericolo, o di una nuova pena. Ma la voce le resta strozzata nella gola, e gli occhi le si ingran- discono, lucidi di amore spaurito.
Si fa infine da parte, e nella stanza entrano due uomini (che, in quella casa, sembrano di un'altra natura, coi lineamenti duri e massicci di una razza diversa) vestiti di bianco, con una barella.
Usando una delicatezza che è solo indifferente abilità, prendono il corpicino di Odetta (come se fosse una cosa) e lo introducono nella barella bianca. Così, rapidi come sono venuti, escono.
Fuori, in fondo al giardino, un altro dei loro li attende, al volante dell'ambulanza: che mette subito in moto. La barella, col suo contenuto, è introdotta nella vettura; e questa parte, bianca e si- lenziosa.
Infila veloce, per scomparirvi, la stessa strada lungo la quale si era perduto un giorno l'ospite: la strada sempre uguale, in una sua ora silenziosa e triste in cui non accade nulla.

Ora portano Odetta, su una portantina a rotelle, lungo il corridoio bianco di una clinica - una clinica moderna, ricca e accogliente.
Lungo il corridoio si intravedono rapidi interni, invasi dalla luce meridiana e dalla pace. Un letto bianco con un viso bianco. Una seggiola bianca con un uomo in pigiama seduto. Il gesto di una infer- miera che trattiene un malato che si vuole sollevare, annaspando e cercando qualcosa. Una faccia che origlia, lunga e furba, contro il capezzale, osservando il passaggio della portantina con la coda dell'occhio.
In fondo al corridoio è la stanza di Odetta: la stanza dove Odetta, chissà perché, ha voluto venire a finire.
Linda, specchiante, luminosa, come ogni opera dovuta alla cattiva coscienza. Perché, non c'è dubbio, questo droping out di Odetta trova consenziente tutta Milano: c'è una tacita intesa tra lei e il potere (qualunque questo sia), che costruisce cliniche - una clinica molto costosa nel caso di Odetta, dato che anche tra i diversi ci sono i diversi.
Che cosa ha spinto Odetta a essere così rinunciataria? A stringere un patto di alleanza coi suoi persecutori? Ad aiutare, escludendosi di propria volontà, con tanta gentilezza, premura, e, si direbbe, tanta furba docilità di animale, coloro che vogliono escluderla? Perché si è prestata a soffocare lo scandalo che essa stessa ha dato, con la stessa diligenza ombrosa con cui è sempre vissuta?
Ma non c'è proprio da aspettarsi che, ora o in futuro, Odetta voglia dare qualche soddisfazione a domande come queste: essa dimostra addirittura di ignorare coloro stessi che la adagiano dalla barella sul suo lettino.
Ciò a cui essa invece diligentemente provvede - senza farlo naturalmente notare - è di tenere il pugno ben chiuso e ben stretto contro il fianco.
Accanto al suo letto c'è una grande finestra, da cui entra una luce tenera eppure cattiva.
Attraverso tale finestra si può godere una vista straordinaria- mente uguale a quella che si gode dal giardino della casa di Odetta.
Di questa strada, dal finestrone, si vede solo il lato destro, contro il vuoto, perché evidentemente la strada è in lieve discesa, e tutto dunque finisce col cielo (un cielo d'ogni giorno, forse grigio, forse ce- leste, indubbiamente senza colore). Da quel vuoto, si riflette sulla strada una profonda tristezza - quasi che in quel vuoto mancasse qualcosa che dovrebbe essere invece lieto: per esempio un lungomare, con un dolce e mite mare meridionale, per lunghe villeggiature veramente liete. Ma non è questo che conta; né la realtà di quelle case - costruzioni di lusso intorno a una clinica di lusso; né la privatezza gelosamente custodita di quelle famiglie di professionisti o di industriali milanesi, che tengono addirittura le serrande abbassate, e solo qualche serva osa ogni tanto affacciarsi, un attimo, ma per riscomparire subito nell'ombra impenetrabile degli interni.
Non conta nulla di tutto questo, che, per quanto enigmatico, ha un senso, e, per quanto triste, una storia.
Ciò che conta è ciò che è, e, ciò che è, è ciò che appare. L'apparizione è misteriosamente geometrica, anche se irregolare. Ogni punto ha una distanza esatta da ogni altro punto. Bisogna misurare quella distanza; e il lavoro è lungo, perché i punti sono in- finiti; esattamente centocinquanta, per esempio, sono le finestre (con le serrande abbassate o semiabbassate), di cui quaranta col balcone. Ad una sola finestra è esposto, penzolante, come morto, un tappeto rosso. Le punte delle piante - quasi tutte conifere - che affiorano dai sottostanti giardinetti dei primi piani sono settantacinque. Gli angoli delle case trenta; le pareti venti; tre di queste venti pareti sono di mattonelle di un tenero color nocciola; sette sono grigiastre, di marmo o finto marmo; sei rosee, lontane, e quindi malamente decifrabili; quattro di un colore tra il lilla e il rosa, livido, contro cui più tristemente spiccano i verdi cupi e natalizi dei pini.
I pali della luce - arcuati, in cima, in modo quasi civettuolo, come nei luna-park - col loro tubo opaco per la luce al neon - sono sei: e scompaiono digradando giù per la discesa della strada della cli- nica. Forse, in fondo a quella strada, c'è una chiesa, perché si sente improvvisamente scampanottare a festa, lugubremente, con il falso tripudio dei carillon.
Gli occhi di Odetta guardano tutto quel vuoto riempito dall'apparizione di quell'architettura e di quei suoni. Il pugno, al suo fianco, è accanitamente chiuso.

TeoremaWhere stories live. Discover now