Misi un braccio attorno al collo del primo uomo e afferrai il suo mento in una presa salda, gli spezzai velocemente il collo con uno strattone e lo lanciai bruscamente ormai morto alle mie spalle. Prima che potesse reagire, infilai con un colpo deciso la mano nel torace del secondo, e poi strappai il cuore dal petto gettandolo morente vicino all'altro cadavere.

Federica mi guardò sorridendo malignamente, mentre lasciavo cadere a terra l'organo vitale del soldato, fulmineamente ci portammo a gran velocità alle due uscite della carrozza, aprendone entrambe le porte.

«Salve, miei amati sangue blu. Gradite la vostra permanenza nella nostra grandiosa capitale?» chiesi ironico sogghignando con un angolo della bocca alzato.

I due erano terrorizzati e boccheggiavano senza riuscire a proferire parola.

«Che ne dici di mostrare ai nostri amici un po' di ospitalità?» mi domandò Federica con tono sarcastico, inclinando di lato il suo viso angelico.

Presi la donna per un braccio e lei si occupò dell'uomo rimasto dentro la carrozza, li sbattemmo fuori facendoli impattare contro il legno duro del mezzo di trasporto.

«Non potrei essere più d'accordo», le risposi io divertito.

«Vi prego! Non fateci del male, prendete tutto quello che c'è nella carrozza e andate via», urlò in preda al panico il signore che Federica teneva per il colletto del costoso abito che indossava.

«Ascoltate mio marito, vi prego!» supplicò la donna guardandomi e piangendo.

«Lo faremo...» disse Federica con voce calma e suadente all'uomo, «dopo che avremo preso da voi ciò di cui abbiamo più bisogno», concluse infine la frase.

Successivamente sentii solo un grido e l'odore del sangue che sgorgava dal collo del nobiluomo. Ora era il mio turno: come di consueto, poggiai due dita sulle labbra della mia preda e una mano dietro la sua nuca, accarezzandole i capelli.

Era il mio modus operandi, infondevo loro la pace poi ponevo fine alle loro sofferenze velocemente, in modo da avere il collo in una posizione da dove potevo attingere più sangue possibile e senza che la mia vittima si dibattesse come una bestia, rovinandomi quel momento così piacevole e rilassante.

Affondai i miei denti nella sua giugulare e risucchiai tutta la sua linfa vitale, per poi abbandonarla rovinosamente a terra. Sentii un tonfo dall'altra parte della carrozza e capii che anche la mia signora aveva completato lo spuntino notturno.

Entrai rapidamente nella cabina e anche lei fece lo stesso, controllammo cosa ci fosse e notammo abiti e gioielli: eravamo stati molto fortunati.

Salimmo sul mezzo di trasporto e iniziammo a puntare nella direzione di casa nostra, respirando la brezza notturna e lasciandoci alle spalle il massacro.

Dopo qualche minuto davanti al calesse, si materializzò una figura con un cappuccio che sembrava volesse intralciare il nostro cammino.

«Amico mio, siamo come te, niente cenetta stasera», affermai ironico balzando giù e andandole incontro.

Mi avvicinai e l'individuo misterioso si tolse il copricapo, rivelando la sua identità. Quando vidi di chi si trattava, ringhiai d'istinto.

«Non tu! Che diavolo vuoi?!» le chiesi con voce irata.

Era Lauren, la vampira che mi aveva privato dei miei istinti e mi aveva reso un mollaccione, come era diventato Roberto. Già... il mio caro amico Roberto Mancini. Non lo vedevo da vent'anni, ma riconobbi la sua voce alle mie spalle.

«Non cambi mai il tuo metodo di uccisione, eh? Sai, stai diventando tu il noioso dei due. Abbiamo seguito le tue orme per tutti questi anni, e ora eccoti qui a Roma con la tua bella fidanzatina, non credi sia ora di sposarsi e mettere su famiglia? Oh, dimenticavo... sei morto da un bel po'», mi canzonò alle spalle con un tono ironico e fastidioso.

Ricordi ImmortaliWhere stories live. Discover now