Ansia da prestazione

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Lasciai che una signora con una bimba in braccio mi superasse.
Mi sorrise e lasciai che pensasse che fosse un gesto di gentilezza, il mio: semplicemente non avevo ancora deciso cosa prendere.
Mi concentrai su quei tramezzini con tonno e formaggio, e dopo su una focaccia ripiena di maionese e qualcosa di non meglio identificato.

La signora pagò e andò via.

-Prego.
Guardai in faccia il ragazzo dall'altra parte. Sul cartellino portava il nome Micheal, anche se non aveva la faccia da Micheal. Avrebbe potuto chiamarsi James o Joshua, quei nomi che tanto sanno di ragazzo che ci sa fare, anche se questo portava degli spessi occhiali rossi e tanto mi ricordava un mio lontano cugino che in camera teneva ancora i poster di Dragonball, ai tempi in cui Goku era ancora un bambino, nonostante sfiorasse i trent'anni. Non che ci sia nulla di male, anch'io ho ancora un poster delle Barbie nell'anta destra dell'armadio, e lo mostro con fierezza a tutti quei tizi che si presentano a casa mia per farsi dare ripetizioni. Con la matematica non c'entra molto e mia madre dice spesso che dovrei smetterla di ostentare il mio lato infantile con chiunque, specialmente a ragazze e ragazzi sconosciuti o quasi. Io le dico spesso di farsi gli affari suoi, perché è una parte di me, e che Ohana significa famiglia e che famiglia significa che nessuno viene abbandonato o dimenticato, ma generalmente lei alza gli occhi al cielo e mi guarda di sbieco.

-Scusami, tocca a te.- insistette quel giorno quel tizio, quel Jonathan, e io lo osservai dritto in faccia, notando quanto fosse brutto il suo naso.

-Hai il naso storto.- dissi solo, e restai a osservare il suo sbigottimento. Certo non se lo aspettava, e generalmente mi piace cogliere la gente in contropiede, penso sia divertente.

-Vuole ordinare?- chiese in affettata educazione, tipica dei novellini, anche se ora aveva un tono piccato e strinse la mascella, con la faccia incredibilmente rossa.

-Sto ancora decidendo.

Intanto la porta trillò, ed entrò una tizia con un portafoglio, grande quanto la sua testa, nella mano. Mi guardò e si mise in fila dietro di me, aspettando che io finissi.

-No, no. Passi, io sto ancora decidendo, signora.- le diedi del lei nonostante avesse poco più di me sicuramente, non dimostrava più di 25 anni. Osservai il modo in cui sgranò gli occhi e balbettando qualcosa passò avanti, incontrando quel buontempone del commesso.
-La focaccia, quella ripiena. Si, tutte e tre. E anche due panzerotti.

Portò via mezza rosticceria, così quando tornai nuovamente davanti il vetro, il bancone appariva svuotato.

-Quindi?
Aveva abbandonato il tono professionale di prima, e mi osservava imbronciato, da sopra quel baffetto spelato da dodicenne.
-Vorrei quel tramezzino.
-Solo?

Lo osservai, mi piace molto fissare la gente. Non resse però lo sguardo, quello lì, e si concentrò su un quadernetto dove iniziò a scarabocchiare qualcosa.
-Che scrivi?

-Ordini- borbottò, ma dubitavo fosse vero.

-Ordini da chi?- continuai, non avevo nulla da fare.

-Da altri clienti. Allora, solo il tramezzino?- Lo imbustò e me lo porse.

-Ora che ci penso, vorrei quella focaccia, quella ripiena di prima.

-È finita, non vedi?- il tono si alzò piano, stava perdendo la calma.

-Posso aspettare. Puoi rifarla. Sono a mala pena le cinque.- gli sorrisi.

Sapeva di non potersi opporre, era un forno che preparava al momento. E per di più lui era nuovo, a quei tempi, li dentro. Afferrò con foga un bigliettino e ci scrisse sopra 1Foc Rip ed entrò nel laboratorio, alle sue spalle.

La televisione dietro di me continuava a raccontarmi di una che era stata uccisa, e poi di un cane che sapeva recitare.

Il ragazzo uscì.
-Ci vorranno una ventina di minuti.

-Non ho fretta.
Mi accomodai su uno sgabello affianco a un tavolino, messo lì nel caso qualcuno volesse mangiare li stesso. Io personalmente l'ho sempre trovato troppo dispendioso, almeno per me. Mi viene sempre voglia di prendere altro e finirei i soldi delle serate in pochissimo.

Johnny intanto continuava a scribacchiare, su questo quadernetto, quel pomeriggio.
Cacciai fuori il cellulare mentre nel negozio si alternavano numerosi clienti.
Passati quei venti minuti, mi alzai, e mi appoggiai al vetro, nonostante stesse scritto di non farlo.

-Non puoi.- mi guardò dritto in faccia.

-È tardi, dov'è la mia focaccia?

-Sta uscendo.- sospirò, non ce la faceva più, nonostante stesse reggendo piuttosto bene.

-Devo inseguirla per strada?- feci io.
Stranamente rise. Era il primo a farlo, generalmente si arrabbiano ancora di più quando faccio battutacce.
Non sembrava in realtà molto divertito, anche se continuò a fare sbuffi di ilarità per un po'.
Palese nervosismo.

-Almeno te ne andresti- borbottò piano.

-Ordinerei qualcos'altro, non corro dietro alle focacce ripiene, io.- risposi a tono e ricominciò a ridere, questa volta più sereno, senza arricciare il naso e senza mettere la mano davanti la bocca. Sembrava ridere sul serio.

-Sembri più una che viene rincorsa, tu... da una folla inferocita con forconi e torce però.- aggiunse, e mi fece sorridere.

In parte era così.

-In parte è così- dissi ad alta voce e si voltò per entrare nello stanzino dopo aver sentito il campanello.

Uscì con una teglia in mano, e si infilò nuovamente i guanti.

-Quante fette vuoi?

-Tu quante ne vorresti?

-Che c'entro io!- sbottò, ormai preparato alle mie frecciatine. Molto sulla difensiva.

-Dicevo così per dire. Dammene una, comunque, Josh.

Si controllò il cartellino, indirizzandomi un'occhiata confusa, poi afferrò la fetta e la incartò, volando alla cassa e facendo in fretta lo scontrino.

-Sono sei euro e cinquanta.

-Non offre la casa?- ridacchiai e gustai per un po la preoccupazione che aveva che io non pagassi.
Lo vidi sospirare quando cacciai fuori il borsellino dalla tasca e, pagando, afferrai la busta e mi voltai, uscendo senza salutare.

Tornai lì il giorno dopo e quello dopo ancora.

È così che ho conosciuto il mio migliore amico.

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