6.Valter

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Nell'immagine: Ann

Finalmente sembra essersi calmata. Anche se ancora un po' in ansia. Deve essere stata dura andare a scuola ed essere picchiata quasi tutti i giorni e non potersi sfogare ne con i suoi genitori ne con nessun altro. Forse avrei anche dovuto prendere in considerazione anche l'eventualità, che sarebbe stato molto più faticoso di quanto non avessi immaginato. Non mi ero accorto della sua instabilità e fobia nei confronti della scuola. Sono alle prese con le solite scartoffie, sopra alla mia scrivania nel mio ufficio, quando sento bussare alla porta. ( N.A. Si lo so, questa scena si è ripetuta circa settecento volte in soli sette capitoli, ma abbiate fede prima o poi la cambio). Di solito intuivo chi e perché bussavano, ma quella volta non riuscivo proprio a immagginarmi chi fosse. Quando diedi il permesso di entrare alla persona fuori dalla porta, vidi comparire il mio angelo. Indossava un vestito in classico stile mille ottocentesco. Nero con le maniche e la gonna piene di fronzoli. Aveva la pelle leggermente imporporata ed era agitata. Pensai che fosse per via della scuola ma mi sbagliai. Si sedette su una delle poltroncine di fronte alla mia scrivania, con le mani in grembo. Si muoveva frenetica e il suo colorito roseo si intensificò.

-Allora? Cosa vuoi dirmi?

Alzai un sopracciglio. Ero sorpreso, colpito, stupito e contento allo stesso tempo. Era la prima volta che veniva di sua spontanea volontà qui, soprattutto per dirmi qualcosa. "Che avesse deciso di abbandonare l'idea di tornare a scuola?" mi chiesi preoccupato. Non che fosse importante. Ora era la sposa di un vampiro, ciò sta a significare che ha tutta l'eternità davanti. Ci sarebbe comunque stato tempo per colmare quelle lacune. C'era però qualcosa che la tormentava più del solito.

-...

Disse qualcosa. Non riuscii a capire ne tanto meno sentire che cosa stava dicendo dal tanto che l'aveva detto piano.

- Puoi ripetere? Non ti ho sentito.

Chiesi confuso.

-Gr...

Questa volta avevo capito solo Gr. O stava ringhiando o stava ringraziando qualcuno. Dubito fortemente che fossi io per cui le chiesi di ripetere, tanto per capire. Il suo colorito diventò da rosato a rosso acceso, che sulla sue pelle bianca come la neve risultava molto di più.

- Ho... Ho detto...

Fece una breve pausa per prendere coraggio. Quello che seguí fu un urlo che sentirono fin dall'altra parte del mondo.

- Ho detto che ti ringrazio per ieri!

Ah.
Quindi stava ringraziando me. Non ci credo. Si insomma, è vero che l'ho abbracciata e consolata, ma, insomma, non è nulla di che. Si, allora gli umani lo fanno spesso quando vedono che sono in difficoltà, no?

-Bhe, prego. Non c'è di che. Piuttosto se non ti senti ancora pronta per andare a scuola, non preuccuparti, possiamo sempre posticipare la cosa.

Il suo colorito era tornato normale anche se ancora un po' imporporato sulle guance.

- Stai tranquillo, ce la faccio.

Bene, speravo solo che fosse così. Se davvero avesse avuto dei problemi bastava che me ne parlasse, ma a quanto a pare non era molto favorevole alla cosa. Aveva preso la storia della sottomissione e del matrimonio come una gara. Non voleva assolutamente perderla, per cui non si era arresa a me. Non so se la cosa va a mio vantaggio o a mio sfavore, ma non so decifrare i sentimenti degli degli umani. Per questo non so cosa significhi quella reazione strana semplicemente per ringraziarmi di averle fatto un favore.

- È tutto qui? O hai bisogno di altro?

Se avesse avuto bisogno di qualsiasi altra cosa io gliela avrei data. Semplicemente non doveva esitare. Gliel'avrei mai detto? Ovviamente no. La partita, nonostante era da quasi un settimana che andava avanti nessuna delle due parti voleva cedere all'altro la propria indipendenza. Scosse la testa in segno di negazione e uscì dalla porta dalla quale era entrata. Ritornai nella mia solitudine. C'era qualcosa che non andava però. Ogni volta che la vedevo sentivo un morsa nel petto, il vero problema era che io non avevo un cuore; un cuore che batteva. Mi sedetti alla scrivania ad analizzare il problema e a pensare su che cosa potesse essere la risposta.
Era qualcosa di comune che avevo già provato?
No. Non l'avevo mai sentita come sensazione, per me era davvero nuova.
Era un mondo che non conoscevo e mi era del tutto anonimo?
Si, sicuramente.
Faceva paura o mi terrorizzava?
No, anzi ne volevo di più anche se faceva male.
Me la provocava solo e soltanto lei?
Si.
Ricapitolando: era una sensazione nuova che solo lei mi procurava. Era qualcosa a me ignoto e sconosciuto, ma nonostante questo non mi faceva paura e volevo averne di più. Era una sete insaziabile, peggio di quella che provavo per il sangue.
Faceva male?
Non lo sapevo.
Era bello?
Non lo sapevo.
Anche lei provava le stesse cose?
Molto probabilmanete no. Questa consapevolezza mi fece molto male al petto. Così tanto da non riuscire a sopportarlo. Cercai di distrarmi pensando a qualcos'altro. Ogni volta che ci provavo, però, non riuscivo a smettere di pensare a Lirya. Quindi quella morsa rientrava nella categoria di quella di prima. Con la mente continuavo a vagare senza una meta precisa. Qualcuno però l'aveva mai sperimentato, qualcuno mi poteva dire che cosa fosse?
In questo castello no di sicuro.
Dovevo trovare la risposta da solo. Continuai a pensarci, pensarci e a ripensarci. Nel mentre, senza accorgemene, mi ero alzato e avevo cominciato e fare aventi e indietro per la camera. Il mento nella mia mano destra e l'altra dietro la schiena. Il bastone alla cintura e il mantello che svolazzava. Fino a quando non trovai la soluzione. Esatto non poteva che essere "quello"...

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