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Mi strinsi nella giacca a vento, incrociando le braccia sotto il petto. La sera le temperature scendevano drasticamente e di certo non poteva considerarsi salutare starsene fuori al freddo.

Lo scatto di una serratura e un cigolio mi fecero sollevare lo sguardo verso la casa degli Evans. Aiden stava uscendo con addosso un giubbotto di pelle nera. Aveva il viso chino sulla serratura, mentre tirava la porta verso di sé. Scesi i gradini del portico, sotto il suo sguardo attento. Io ero illuminata dalla lanterna esterna, lui immerso nel buio. Raggiunse l'auto che tenevano sempre davanti il cancelletto, aprendola con il telecomando.

- Dov'è che vuoi andare? - mi chiese.

- In realtà, non lo so - sospirai, raggiungendo il lato del passeggero. Sentii un rumore alle mie spalle e quando mi voltai vidi il signor Sanders che sistemava fuori il sacco dell'immondizia. Aveva i pantaloni della tuta e le pantofole. Aveva l'aria un po' spenta, ma cercava di non darlo a vedere.

Alzai una mano per salutarlo. - Ciao, Wendy - mi salutò, poi lanciò uno sguardo ad Aiden. Cosa pensava di lui? Gran parte della città pensava che fossero loro gli artefici. Probabilmente il signor Sanders cercava delle prove e non delle dicerie popolari.

Salii in auto contemporaneamente ad Aiden. Poi aspettai che mettesse in moto per parlare.

- Pensavo... - proruppe, guidando verso una meta imprecisa - Forse cerchiamo la cosa sbagliata -.

Corrugai le sopracciglia. - Che intendi? -.

- Forse dovremmo concentrarci meno sull'assassino e più su Stephen -.

Lo guardai aspettando che proseguisse.

- Insomma, le persone non vengono uccise a caso. Stephen avrà pur fatto qualcosa, no? -. Mi lanciò uno sguardo fugace per cogliere la mia espressione, poi tornò subito a fissare la strada.

Tamburellai le dita sulle mie cosce, non riuscendo minimamente ad immaginare cosa avrebbe potuto fare Stephen a tal punto da essere ucciso. - Mi sta scoppiando la testa -.

Restammo in silenzio per un po', mentre giravamo a vuoto per la città. Pensavo a mio padre e al foglio che avevo portato con me senza un preciso motivo. Forse il mio subconscio aveva paura che mio padre lo trovasse.

Ci stavamo spostando verso la periferia, le luci arancionate dei lampioni si alternavano davanti ai miei occhi, riflettendosi sul vetro. L'asfalto grigio scorreva sotto i pneumatici e in quel momento mi sentivo stranamente rilassata. Non ci pensai neanche, al fatto che fossi rilassata, intendo. Lo ero e basta. Stavo quasi per chiudere gli occhi quando Aiden si fermò ad un semaforo. Il rombo di un motore raggiunse forte e chiaro le mie orecchie. Un leone ruggente e affamato.

Un veicolo giunse all'incrocio da destra, prima di svoltare e proseguire dritto davanti a noi. Al verde Aiden ripartì, seguendo la direzione di quel matto. Non avevamo nulla da fare, alla fin dei conti. Man mano che proseguivamo altri leoni si aggiungevano nella mischia, arrabbiati, inferociti. Aiden svoltò a destra e quello che ci ritrovammo davanti agli occhi fu sconvolgente.

Migliaia di persone se ne stavano sui marciapiedi ad urlare, incitando coloro che sfrecciavano con le auto. Due auto attraversarono la strada a tutta velocità, spostando l'aria. Due secondi dopo ne arrivarono altre, e poi altre.

- Merda... - imprecò il rosso. Ingranò la retromarcia, facendo stridere i meccanismi per la troppa fretta. - Aspetta! Scendiamo, vediamo cosa succede - lo fermai. Era una gara clandestina. A West Chester. Non eravamo nel Bronx, ma in una cittadina tranquilla. O almeno pensavo che fosse così. Aiden mi ignorò completamente, tornando indietro. - Perché non ti sei fermato? - urlai, infastidita.

Come la peceWhere stories live. Discover now