Sol lucet omnibus- Parte III

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Prima di diventare donna, prima di vedere per la prima volta le cosce e le vesti macchiate dal grumo denso e rosso di una femminilità che il suo corpo non riusciva più a contenere e rinnegare, prima di essere consacrata alla Grande Madre Terra, la prima dea che ognuno compiace ed appaga nascendo, che dona sangue e vita e pretende vita e sangue, Cassandra si era già votata al signore del Sole. Anima e corpo, ma con quel corpo che stava già per fallire, là dove la sua anima forse non avrebbe mai ceduto. 
Gli anni della vita nel tempio furono i più sereni che Cassandra poté mai ricordare, sulle mani una macchia di frutta accanto a una di terra e ad un'altra del sangue di quelle viscere augurali che si divertiva ad impiastricciare e rimodellare per costruire immagini da interpretare.
Trascorse la sua giovinezza in riti e cerimonie festose, giochi da indovina e scherzi da spiritista, giacché i sacerdoti le facevano cambiare spesso mansione, e lei si divertiva ugualmente a rotolarsi nella terra con i serpenti sacri o a inventare responsi, secondo la sua ragionevolezza o il suo umore, per i contadini che venivano a consultare il dio [come se il grande Apollo si potesse interessare ai comuni problemi della terra o le mandasse oracoli a comando].
Cassandra si sedeva sul suo sgabello a tre piedi, circondata da veli e amuleti e profumi che avrebbero dovuto evocare un'atmosfera di misticismo surreale ma che in realtà servirono solo a procurarle in qualche occasione attacchi d'asma che vennero interpretati come infausti presagi dagli sventurati di turno. La giovane attendeva che l'immensa fila che si snodava davanti al tempio come una colonna vertebrale lungo la collina le sfilasse davanti a porgere sacrifici e fare domande [che cosa devo piantare quest'anno e che tempo farà questo inverno e se il figlio che aspetta mia moglie è mio e se sarà maschio].
Ogni qual volta le sorelle e la madre l'andassero a trovare al tempio, mescolandosi con la colonna di uomini che si dispiegava come lo scheletro di Troia, Cassandra quasi non riconosceva quelle donne continuamente gravide, dal ventre pesante in cui scorgeva solo cattivi presagi, e loro quasi non riconoscevano lei, sempre più diversa da loro nella sua leggerezza di vergine e sollevata da incombenze terrene.
Molti, dentro e fuori dal tempio, finirono per rimanere sedotti da quella donna dagli occhi di sfinge, distante e imperturbabile tra profezie e visioni e l'incolpevole distrazione di chi conosce già tutte le verità di questo mondo e ha ormai incominciato a vivere in un altro.
In quel periodo ricominciò a circolare il pettegolezzo che fosse di nuovo, e forse lo era stata ininterrottamente, al centro delle attenzioni di un dio, come quand'era un'incantevole bambina con sogni e favole a fior di labbra, e la voce finì per superarla in fama nella rocca di Troia. 
Fu proprio quello l'unico momento della sua vita in cui tutti le credettero sempre ciecamente poiché, avendo scambiato per Verità quelle risposte dettate dal buon senso, in seguito nessuno riconobbe quella autentica quando, durante la guerra, dilagò  per le strade preannunciando tragedie.
I sacerdoti infine si dovettero risolvere a congedare temporaneamente Cassandra, assillata dalle innumerevoli consulte dei postulanti, dalla sua mansione di indovina sullo sgabello e a spostarla in quella di augure addetta ai sacrifici ufficiali.
Iniziò così ad abituarsi alla vista del sangue viscerale e all'odore della carne bruciata delle bestie sacrificali, non sapendo come, in seguito, le sarebbe stato utile poter fingere di confondere l'odore di carne umana con quella animale.
Si adattò a lavorare sotto gli occhi della grande statua di Apollo al centro del tempio, così orribilmente diversa dal suo incerto ricordo del dio che rabbrividiva ogni volta che, fugace come una folata d'aria tiepida già dispersa per l'etere, fosse costretta a passarvi davanti, temendo che il dio prima o poi li avrebbe puniti tutti per quell'obbrobrio. 
Eppure Cassandra aveva deciso che quel Sole così affezionato alla sua arida Troia cocente era l'unico maschio sotto il cui sguardo avrebbe potuto vivere e, consacrando a lui la propria verginità, anima e vita, dimenticò forse [lo dimenticasti davvero, Cassandra?] l'antico indissolubile e irrisolto dovere che aveva verso le sue prime dee.
[Cibele, Atena, Afrodite, Era, Artemide, Rea, Estia]
Tanti nomi, tante abnegazioni. Tante dee, tante empietà, tanto più ignobili giacché lei, vergine di uomini ma sposa di un dio, ripudiava inconsciamente ogni divinità ed il suo opposto.
Cassandra conosceva abbastanza gli uomini per sapere che spesso per accettare se stessi dovevano necessariamente negare chi era troppo simile a loro ma, non conosceva se stessa al punto da capire da dove provenisse quel suo fervido rifiuto verso le dee della maggior parte delle donne, che pur non poteva riconoscere come proprie.
Fu proprio quando le venne quella nuova smania di interrogare e contraddire, in risposta al chiedere e chiedere e chiedere senza fine che aveva sopportato sul suo sgabello a tre piedi, che Cassandra capì e sentì di essere donna, più di quando aveva visto per la prima volta quel rosso incomprensibile sulle lenzuola.

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