Sol lucet omnibus- Parte II

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C'era stato un momento in cui Cassandra aveva pensato che Apollo non si sarebbe più mostrato.
Non si sarebbe certamente stupita, in fondo gli dei elargivano visite ai mortali sotto le proprie reali spoglie con la stessa assiduità della pioggia nel deserto del Sahara, all'epoca non ancora scoperto.
Ma i loro incontri ripresero. Apollo sopraggiungeva sempre dopo il tramonto, non aveva mai trascurato il proprio dovere divino per lei, nonostante da piccola le avessero narrato molte volte storie di passioni talmente ardenti da far negligere agli dei i propri obblighi.
Quando capitava che gli aedi cantassero questi miti dopo l'episodio del tempio, Cassandra si alzava dal tavolo del simposio e stizzita si allontanava, con lo sguardo fiero ed incredibilmente adulto.
Poco alla volta, in seguito, si era rassegnata alla spietata evidenza che il Sole avrebbe brillato sempre per tutti.
Momenti sacri viveva con Apollo alla luce di poche fiaccole nella notte, attimi inviolabili come il sacrificio delle vittime sull'altare.
Forse le stanze della principessa avevano un'aura numinosa che intimoriva tutti gli abitanti del tempio o della reggia, servi, sacerdoti e reali, poiché nessuno aveva mai osato irromperene all'interno durante le visite del dio.
Forse era lo stesso Febo a tenerli lontani, Cassandra non si era mai interrogata a tal proposito: nelle sue convinzioni vertiginose e suggestionate, Eleno, l'unico altro a cui il dio si era mostrato, credeva che l'apparizione fosse frutto di estrosi e visionari sogni puerili.
«È una sacerdotessa di Apollo.» la giustificavano genitori e fratelli quando non si presentava ai banchetti. Nel palazzo di Priamo quelle parole divennero una cantilena, una nenia innaturale che si mescolava ai canti delle nutrici per cullare i bambini che continuamente nascevano.
«È pazza.» si erano giustificati in seguito se la voce del dio decideva di parlare attraverso la sacerdotessa in presenza di ospiti. Le risate dei bambini cresciuti si trasformarono sempre più in sorrisi di scuse. Una principessa che profetizzava la caduta della propria città in tempo di guerra era sicuramente folle. Non si poteva redimere un pazzo.
A Cassandra cosa importava?
Lei ed Eleno avevano smesso di essere gemelli quel giorno nel tempio.
Come avrebbero potuto continuare a sentirsi tali? Eleno considerava solo una chimera trasognata la visione del dio al cui servizio Cassandra si era consacrata.
Ogni volta che il dio si recava a visitarla, tutti i giorni, per la verità, il corpo di Febo Apollo aveva quel bagliore diafano che a lungo le aveva fatto pensare che fosse stato scolpito nella luce pura. Adorava affondare le mani in quei capelli ricci e fluidi come nettare, scompigliare deliziata la chioma bionda per verificare se i frammenti di luce che rimanevano aggrovigliati fra le ciocche bionde del dio sarebbero scivolati a terra in una pioggia d'oro.
Eppure più dell'amore divino del dio del Sole aveva voluto, quasi preteso, quel dono che Apollo non avrebbe mai potuto negarle [e lei lo sapeva, lo sapeva da quando, ancora bambina, si lasciava prendere sulle ginocchia mentre il dio la guardava con la stessa tenerezza dolorosamente umana che le aveva brevemente riservato Priamo.]
«Gli dei non concedono facoltà di tale portata a chiunque, mia profetessa. Ti conferisco il dono della Profezia, l'arte celestiale per eccellenza, ti concedo l'accesso alla mia essenza più genuina. Ciò equivale ad amore eterno per me. Cassandra, promettimi che mi amerai sempre.»
La fanciulla non aveva realizzato la portata della promessa, oppressa, accecata dalla nuova vista che attraverso specchi incrinati le rivelava realtà distorte, velleità frammentarie che edificavano il suo mondo di apparenze dietro il velo della verità.
[Ah, Cassandra, come se non sapessi fin dal primo momento che l'amore che ti chiede non è la sacra venerazione a cui ti sei votata!]
Il nome di Apollo nei suoi ricordi era sempre accompagnato dal suono della lira, nella testa della figlia di Priamo risuonava sempre la melodia che il dio stava suonando il giorno in cui lei entrò nella propria stanza e lo trovò lì, seduto a terra, con la stoffa incorporea del chitone che si spiegazzava indolentemente sul corpo eburneo del giovane dio. Cassandra sorrise [tutti sorridevano quando lo vedevano] e i suoi bei boccoli bruni le molleggiarono sulle esili spalle. Continuò a sorridere, negando che fosse giunto il giorno in cui Apollo avrebbe reclamato l'amore che non aveva potuto chiedere ad una bambina finché non si rese conto di quanto la Vista l'avesse accecata.
«Ti ricordi ciò che mi hai promesso, mia profetessa?»
Cassandra crollò in ginocchio e cominciò a implorare, ma era lui l'unico dio che aveva da pregare, voltò la testa per non vedere la delusione, talmente irata da sembrare quasi umana, che adombrava lo sguardo del dio. Inquisì gli occhi di Apollo alla ricerca di una sfumatura dell'antico calore, ma scorse solo i riflessi duri e tetri dei lapislazzuli nelle sue iridi.
Eppure continuò a sperare, quando lo vide avvicinarsi, che stesse cercando di perdonarla.
Febo giunse così vicino al suo viso che Cassandra quasi riuscì ad udire la risata beffarda e sovrumana della vendetta del dio mischiata al suo fiato gelido.
Un bacio, uno solo, poteva anche concederglielo. Ma lo sputo fu così inaspettato e tagliente che la vista le si annebbiò di quelle lacrime che d'allora in avanti non avrebbe potuto evitare.
Ghigni opalescenti rilucevano al lucore di timide fiammelle, denti perlacei affilati come zanne. Quando Apollo le parlò per l'ultima volta, la sua voce riesumava l'ira degli dei dimenticati nel Tartaro, lo sguardo palpitante di un piacere feroce e sconvolgente.
«Io ti maledico, Cassandra. Che nessuno creda mai ai tuoi oracoli.»
E il dio scomparve in una vampata che spense i ceri della camera e rapì l'ultima scintilla di calore della profetessa, lasciandola a singhiozzare, nel tentativo di lavare via, con le lacrime che le bagnavano le labbra, l'onta della promessa frantumata.

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