Capitolo 3

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Quando Kalani riuscì finalmente a farsi breccia tra la folla di studenti urlanti che occupavano il cortile della scuola, si era fatto ormai tardo pomeriggio e la voce squillante di Charlotte le rimbombava ancora nella testa.

Aveva perso il pullman, ovviamente, e quindi si ritrovava a percorrere svogliatamente la strada di casa.

Con la testa ancora piena di tutte le informazioni raccolte quella mattina , iniziò a non badare più a dove andava. Quello che era sembrato un enorme ostacolo da superare fino a quel giorno era ormai passato, e nemmeno tanto male.

Certo, forse era un po' presto per dirlo, ma la scuola le era piaciuta ed era stranamente convinta che quell'anno sarebbe stato diverso dagli altri.

Tutto sommato era quasi felice.

Proprio mentre arrivava a questa conclusione, una goccia di pioggia atterrò direttamente sulla sua testa, seguita da un'altra e un'altra ancora, fino a che un vero e proprio temporale si scatenò sopra di lei.

Realizzò allora che non aveva la più pallida idea di dove si trovasse e ,essendo Kalani una persona tendenzialmente ansiosa, inizio ad andare nel panico.

Tirò fuori dalla tasca il cellulare: era scarico.

Cercò di respirare e rimettere in ordine i pensieri, doveva trovare in fretta un luogo in cui ripararsi.

Si guardò attorno ma in quella via non vedeva né un portico né un balcone sotto cui ripararsi.

Solo un viale decorato da alberi giovani, scossi violentemente dalla pioggia.

Notò che un portoncino, però, era appoggiato.

Era interamente colorato di rosso e sopra di esso si trovava una targhetta placcata in oro, quindi era un luogo pubblico. Magari lo studio di un medico o una casa di riposo, pensò Kalani. Si sarebbe potuta rifugiare lì fino a che il temporale non fosse passato.

Senza pensarci due volte, schizzò all'interno dell'edificio.

Kalani sbucò in un corridoio lungo e stretto, illuminato da dei vecchi candelabri che proiettavano immagini fioche sulle pareti dipinte di rosso .

-Dove cavolo...- mormorò la ragazzina, con tutta l'intenzione di darsela a gambe.

Poi, notò che alla fine del corridoio non si trovava una tradizionale porta, bensì delle tende che le ricordavano vagamente il sipario di un teatro, di quelli dove avrebbe voluto esibirsi da piccola.

E se Kalani era un tipo ansioso, era anche un tipo curioso. Forse fin troppo curioso.

Avanzò piano osservando le pareti scarlatte, e nonostante la sua coscienza le urlasse in ben due lingue diverse ( inglese e tahiti, nello caso ve lo steste chiedendo) di fuggire e non entrare mai più in quel posto, la curiosità che aveva cercato di reprimere fino ad allora ebbe la meglio quando sentì un lieve chiacchiericcio provenire da dietro la tenda .

La raggiunse e scostò i due lembi per trovarsi in una sala ancora più bizzarra della precedente.

Innanzitutto, era nettamente più ampia : in un angolo una bacheca era coperta di locandine, disegni e schemi, mentre dall'altra parte della stanza si trovavano dei tavolini bassi, coperti di penne e fogli scritti e circondati da diversi cuscini.

In fondo alla sala campeggiava quello che sembrava un piccolo palco, con tanto di quinte e riflettori.

Davanti ad esso, però, nessuna platea: solo i manifesti appesi a tutte le pareti fissavano il centro della sala.

Kalani riconobbe delle locandine di spettacoli famosi, ma non capì a cosa si riferissero le scritte bianche su uno sfondo nero, sotto immagini che ritraevano attori di alto livello.

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