Chapter 4-Frammenti dal passato

24 1 0
                                    

Auburn, 1855. Primo ospedale psichiatrico costruito in America, o anche manicomio criminale.

Non ricordo neanche quanto tempo sia passato dall'ultima volta che ho messo piede qui dentro. Mi mette ancora i brividi questo posto. Urla strazianti, disprezzo nell'aria sono le caratteristiche di un luogo come questo. Sin da piccola quando venivo con papà, mettevo le cuffie per non sentire il dolore, l'agonia delle persone rinchiuse qui, chi per cause giuste o chi per accuse non fondate, come mia madre. Amanda Jhonson, 45 anni è la persona che più amo al mondo, la donna che mi ha dato la vita e la stessa che l'ha frantumata in un secondo. 

Otto anni fa,si è accorta di soffrire di un disturbo mentale. Molte volte le parlavo ma lei non rispondeva, quasi non mi capiva. 

Un anno dopo ci fu un omicidio. Un ragazzo della mia età venne ucciso mentre era al supermercato. La mamma quel giorno era più assente del solito ma volle comunque andare a fare la spesa, cosi mi offrii di accompagnarla come facevo sempre da piccola. Ricordo che eravamo nel reparto gelati per comprarne una vaschetta al cioccolato a papà, quando sentimmo uno sparo. Poi divenne tutto un caos, l'uomo incappucciato venne verso di noi e sbatté con forza mia madre contro gli scaffali facendo cadere tutto, le mise la pistola tra le mani e scappò via. Piangevo disperatamente non potendo fare nulla. Tutti ci guardavano con disprezzo, terrore. Mia madre non si muoveva, era paralizzata ma vedevo la paura nelle sue iridi verdi. Minuti dopo degli uomini vennero a prendere mia madre e la portarono via mentre io crollavo a terra, sola, sapendo che nessuno mi avrebbe aiutata in quel momento. Chiamarono papà e insieme tornammo a casa. Da quel momento non rividi più mia madre e tutte le voci sull'accaduto si placarono. Solo all'età di tredici anni scoprì che avevano rinchiuso la mamma in un ospedale psichiatrico e da allora, vengo a trovarla quando posso, scomparendo per pomeriggi interi. 

Entro nell'atrio a testa alta e con i One Republic a sovrastare i pensieri.

Saluto Margharet all'entrata, una donna in carne sulla cinquantina, a volte l'unica che sembra umana qui dentro. Mi sorride permettendomi come sempre di andare a trovare mia madre anche se non ho ancora compiuto diciotto anni. Neanche lei conosce il mio dolore, ma forse lo vede nei miei occhi. 

Stanza 310, ormai ho imparato il percorso a memoria

In poco tempo sono davanti la stanza, tolgo le cuffiette dell'i phone ed entro.

Un letto spoglio è la prima cosa che si nota, ma in compenso le pareti sono qualcosa di magnifico. Diversi fiori sono disegnati su di esse e per la stanza sono sparsi pennelli e barattoli di vernice. 

Poi la vedo, seduta accanto alla finestra. I capelli messi di lato su una sola spalla e il viso ormai stanco della vita che conduce, ma lei è forte, troppo.

<<Mamma>>-la mia voce esce quasi in un sussurro

<<Bambina mia>> si gira al suono flebile della mia voce

<<mamma, mi sei mancata tanto>>e in un secondo sono in lacrime tra le sue braccia. Non piangevo da molto,troppo tempo, forse da quel giorno ed ora mi sento un pò più leggera.

<<anche tu,amore mio come stai?>>

<<bene, va tutto alla grande. Papà si sta riprendendo, ultimamente lo vedo più sereno.>> confesso davvero più leggera

<<è venuto qui anche lui qualche giorno fa, me ne ha parlato e sono davvero felice per lui. Deve rifarsi una vita, anzi tutti e due dovete. Meritate di essere felici.>> dice iniziando a piangere anche lei

<<no mamma, noi non possiamo dimenticarti, sappiamo che sei innocente, io lo so, io c'ero e farò di tutto per farti uscire da qui. Non permetterò che tu rimanga qui dentro per sempre.>> ormai non riesco a fermare le lacrime, forse è così che succede quando non lasci andare il dolore per troppo tempo.

<<oh Maya, lo vorrei tanto anche io ma purtroppo devo restare qui. Sono malata non posso permettermi di fare del male a qualcuno>> 

Mi alzo di scatto con tutta la rabbia che in questo momento mi ribolle in corpo

<<ma cosa stai dicendo, tu non sei un'assassina mamma, non sei stata tu, non hai colpe, perché dici questo...non capisco>>

<< Vattene, non voglio più vederti. Và via, non so chi sei ma devi andartene. Io sono un'assassina>> si alza dalla sedia prendendosi i capelli in tutte e due le mani quasi a volerseli strappare mentre continua a ripetere di essere un'assassina e che devo andare via.

Non mi riconosce più.

Si sta perdendo. La sto perdendo. Non riesco ad urlare, a reagire. Sono in una bolla,neanche il rumore di un vaso rotto in mille pezzi mi smuove, non ci capisco più niente. Devo andarmene.

Esco dalla stanza in lacrime e correndo tra le urla dei pazienti desidero di uscire da qui il prima possibile ma un braccio mi blocca proprio davanti la porta di uscita. Margharet.

Mi abbraccia. <<Tesoro devi calmarti, purtroppo non è in sè devi accettarlo, può capitare e capiterà altre volte quello che è successo oggi, voglio essere sincera con te>> mi confessa chiudendomi ancora una volta in un suo abbraccio

<<hai sentito tutto?>> chiedo singhiozzando

<<si, ma sappi che lei ti ama, immensamente e tu devi accettare quello che le sta capitando. Starà bene qui. Vieni quando vuoi.>> con queste parole rassicuranti esco finalmente dall'edificio ed è come quando vai sott'acqua e non respiri ma poi riemergi e l'ossigeno ricomincia a circolare nel tuo corpo.

L'apnea è orribile.

Controllo il cellulare per un attimo. 

20 chiamate perse da Bryan.

10 da Isabelle e da Bella. Neanche fossi andata in guerra. 

Okey chiamo Bryan..<<Pro..>> crack. fracrasso. rotto. puff. si, il telefono ha fatto puff.

<<Ma che diamine!!>> borbotto. Okey forse ho urlato.

<<Ehm, scusa, fai sempre amicizia così con gli sconosciuti? Cioè, voglio dire, prima gli sbatti contro e poi fai finta di cercare il tesoro di Capitan Uncino per terra?>>-una voce fastidiosa ha parlato

<<Beh, scusami se mi hai appena fracassato il telefono. O mio dio e adesso come faccio. Ma sei idiota, oh no aspetta, è ovvio che sei idiota, ma non vedi dome cammini>> 

Sto iniziando a straparlare. solito.

<<Scusami non volevo, piacere Jonathan, o puoi chiamarmi Jace se ti va>>

<<Piacere, sono la ragazza alla quale ricomprerai un telefono.>> sbotto acida

<<Posso ricomprartelo anche adesso se vuoi>> 

Bene. Anzi stupendo. Ricco. Spavaldo.Perfetto davvero...

Stupendo aggiungerei.

Ma cosa diavolo!?

<<Ah , spostati>> urlo andandomene

<<E' stato un piacere>> risponde divertito  -<<Per me no>> ma non credo mi abbia sentita. Ormai sono lontana.

Non l'ho mai visto prima.. eppure qualcosa mi dice che lo conosco.


ED ECCO IL 4 CAPITOLO!!!!!! Spero vi piaccia ! scusate i possibili errori.



Almost TransparentWhere stories live. Discover now