CAPITOLO 2

3 0 0
                                    

San Francisco – 16 dicembre 2028

(Oltre 22 anni dopo)

Quando la ragazzina cercò di aprire gli occhi si rese subito conto che nulla sarebbe stato come prima.

Che mal di testa... dove sono?

Non vedo niente... è tutto buio...

Non riesco a muovermi, perché?

Che cosa mi succede?

L'angoscia esplose d'improvviso. Un senso di claustrofobia, mista a terrore, s'impossessò di lei nel giro di attimi. La piccola tentò di gridare, ma neppure quello le fu possibile.

MHMMMM...!!! MHMMMM...!!!

Le sue urla restarono soffocate. Non riusciva a parlare, qualcosa di appiccicoso le teneva la bocca serrata come se le labbra fossero state incollate dall'esterno.

Aiuto... Aiutatemi... ho paura...

Ma più si sforzava più le sue grida disperate restavano mute.

Furono sufficienti poche manciate di secondi perché la ragazzina si rendesse conto che era in grado soltanto di pensare. Le prime lacrime fuoriuscirono a stento dalle sue palpebre schiacciate, finendo per ristagnare all'interno del bendaggio che le impediva di vedere ciò che le orbitava intorno. Tentò di muoversi, ma le risultò impossibile. Il suo corpo era come imbalsamato.

Sveglio, eppure soggiogato in una morsa che non gli lasciava alcuna libertà di movimento, paralizzato dalla testa ai piedi. La piccola si sforzò nuovamente di spalancare gli occhi e di urlare a squarciagola, per supplicare aiuto, ma non poté far nulla di tutto questo. Ogni suo tentativo restava soffocato in gola, ammutolito dalla mascella irrigidita, bloccata come la porta di una cassaforte. L'unica cosa che era in grado di fare, per ora, era pensare. Sino a pochi istanti prima dormiva. Profondamente. Così almeno le sembrava. Adesso, nonostante fosse sveglia, non poteva vedere. Di sicuro era seduta su una sedia, o qualcosa di simile, costretta ad appoggiarsi a un ampio schienale rigido. Un nastro, o una benda, non sapeva dirlo con precisione, le occludeva la vista. A ogni istante che passava era divorata dalla paura, dall'angoscia.

L'unica cosa che sapeva era di trovarsi da qualche parte. In un luogo sconosciuto che tratteggiava i contorni di quello che, via via che il tempo scorreva, inesorabile, si rivelava il peggiore degl'incubi. Non riusciva a ricordare nulla. Di se stessa, del come e del perché fosse stata catapultata in quell'angolo di mondo.

Era in grado di avvertire un pesante vuoto intorno a sé. Non sapeva darsene una spiegazione ma era certa che fosse così. Il suo respiro non era lo stesso di sempre. La bocca era talmente irrigidita, e serrata, che le era possibile inalare aria soltanto dalle narici. Neppure facilmente.

Un senso di oppressione le gonfiava la gola ostacolando il movimento ritmico del petto. Il corpo invece, a dispetto delle sue intenzioni, rimaneva immobile: busto, gambe, braccia.

Tutto quanto. Corde, lacci, o chissà cos'altro le impedivano di muovere anche un solo dito. Il cuore, nel frattempo, continuava ad accelerare. La sfibrante pressione trasmessa da qualcosa che non poteva vedere s'insinuava nel suo animo. Ambigua, sfibrante. Cresceva istante dopo istante, trasformandosi lentamente in paura ingovernabile. Dentro di lei stava esplodendo la fobia dell'ignoto. Del non sapere cosa la stesse aspettando da un momento all'altro. L'unica reale presenza sembrava essere quella di un silenzio rimbombante.

Una calma fluida, esiziale, che le metteva i brividi.

Ora che ci pensava faceva freddo. Molto freddo. Un gelo che le entrava nelle ossa, indurendole come sassi. La piccola pensava e ripensava ossessivamente a quale potesse essere la ragione di ciò che stava vivendo. La sua memoria sembrava un foglio di carta, bianco, vergine quanto lei, su cui il tempo non aveva ancora iniziato ad annotare la sua vita. Chi poteva aver concepito una simile, perfida tortura a una ragazzina della sua età?

La libertà di movimento negata al suo corpo la portò in breve ad avvertire ancor più il senso d'impotenza da cui si sentiva sopraffatta. Ricominciò a piangere. Lacrime calde, corpose, dilaganti riuscivano nonostante lo stretto bendaggio a scivolare via, solcando le guance illividite dalla paura.

Eppure, doveva frenarsi. Il respiro si era fatto difficile e affannoso. Per quanto lo avesse sperato sino all'ultimo quello che stava vivendo non era un sogno. Tutto era drammaticamente reale.

Vero come l'acqua salata che le inondava gli occhi. Se avesse continuato a lasciarsi andare avrebbe corso il rischio di soffocare tra le lacrime e i singhiozzi. Doveva smetterla, e trattenersi, non aveva scelta se desiderava vivere.

Anzi, sopravvivere. Passarono, lenti, alcuni minuti di relativa calma. Mentre la sua muscolatura riusciva a distendersi appena, la sua mente cercava disperatamente di riorganizzare le idee. Di dare un senso a tutto. Era un'impresa titanica, ma purtroppo anche l'unica strada percorribile. La sola via d'uscita di cui la sua mente poteva e doveva occuparsi, visto che non ricordava nulla di sé, del suo passato e del suo presente. La piccola cercò di emettere altre grida, incurante delle labbra incollate, ma i suoni di quelle urla soffocate si strozzarono nel tempo d'un respiro, divenendo tenui gemiti, appena percettibili soltanto da se stessa.

Gli occhi chiusi si stirarono nel buio, inutilmente, in cerca di aiuto, mentre ormai quasi annegavano tra le lacrime inarrestabili.

Ogni gesto della ragazzina era una disperata richiesta d'aiuto che falliva miseramente nel luogo indecifrabile in cui era reclusa.

Lo spazio sembrava starle lentamente collassando addosso, attimo dopo attimo. Implacabile come un cappio intorno al collo che le avrebbe presto tolto l'ossigeno.

E la vita.


SOTTO SHOCKWhere stories live. Discover now