.:Capitolo undici:.

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La giovane si rigirò di scatto, gli occhi spalancati e il battito a mille. Lì, di fronte a lei, sull'uscio, si stagliava un metro e novanta abbondante di pura cattiveria coperta solo da un misero asciugamano legato in vita. La giovane non disse nulla, troppo impegnata ad osservare le gocce d'acqua che si staccavano dai capelli candidi per poi scivolare lungo la mascella, il collo, i pettorali e gli addominali scolpiti fino a sparire oltre l'orlo di spugna.

Quando la pressione di quegli occhi inquisitori si fece evidente non poté fare a meno di alzare lo sguardo per incontrarli. Quegli specchi erano così vuoti da risultare terrificanti, ma oltre ad essi la giovane riuscì ad intravedere anche un mare d'ira con una punta di soddisfazione. Quella valanga di emozioni le fecero spalancare gli occhi e fare un passo indietro.

Rimasero a guardarsi per un tempo che parve interminabile. Lui sembrava farle più pressione possibile, testando quanto fosse grande la sua determinazione, e lei rimaneva immobile, non perché conscia di quella sfida ma per semplice terrore. E anticipazione. Oh sì, l'anticipazione. Quella le scorreva a fiumi nelle vene, facendole formicolare le dita delle mani di impazienza. Non si credeva così pazza. Perché alla fine di quello si trattava: pazzia.

- Qual buon vento ti porta qui, passerotto? – quella voce tagliente squarciò la cappa irreale che era andata a crearsi e riportò l'attenzione della giovane su di lui, ciononostante le parole non sembravano voler uscire dalle sue labbra.

- Cominci subito a non rispondere? – chiese lui, facendosi scuro in volto.

Lei scosse la testa terrorizzata – No, io... - disse in un filo di voce, non riuscendo però a terminare la frase. Cosa poteva dirgli? Che aveva capito? Che finalmente le si erano aperti gli occhi? Che aveva capito di avere bisogno di quello che lui poteva darle?

Lui la squadrò da capo a piedi ed emise un verso disgustato, al quale lei sobbalzò. E se l'avesse mandata via? Quel pensiero si dissolse immediatamente quando lo vide farsi da parte tenendo spalancata la porta. Un implicito invito ad entrare.

Lei inghiottì il nodo che le si era formato in gola e si mosse in avanti, attraversando quella soglia che sapeva le avrebbe cambiato la vita.

Quando sentì la porta sbattere alle proprie spalle per poco non urlò.

Si voltò appena in tempo per vederlo avvicinarsi a lei, opprimendola con la sua stazza. Istintivamente indietreggiò inciampando sullo scalino del battiscopa ma continuando a mantenere lo sguardo fisso su di lui.

- Adesso è troppo tardi per tornare indietro passerotto -un sorriso cattivo si fece largo sul suo volto. Lei scosse la testa – I-io non voglio tornare indietro – sussurrò. Una risata malvagia le inondò i timpani – Vedremo, passerotto. Vedremo – e dicendo questo le passò vicino, non degnandola di uno sguardo, dirigendosi verso una porta socchiusa e uscendone poco dopo con un altro asciugamano nelle mani, con cui si stava tamponando i capelli.

La giovane era rimasta incollata al pavimento, osservando ogni minimo movimento dell'uomo con estrema attenzione. Il suo torso era costellato di cicatrici di varie dimensioni e forme.

Potrei finire anche io così stando a contatto con lui...

Quel pensiero le fece raddrizzare di scatto la schiena, percorsa da una scarica elettrica. Il movimento improvviso della ragazza attirò su di sé l'attenzione dell'uomo, che la squadrò nuovamente per poi incamminarsi verso dove la ragazza sapeva esserci la sala. Lei lo seguì in silenzio, a debita distanza, non sapendo bene cosa aspettarsi. Lo vide sedersi sul divano allungando le braccia sullo schienale – Vieni qui – ordinò. La giovane si mosse in quella direzione, fermandosi solo quando si trovò di fronte a lui, a poco più di un passo di distanza, lasciando per tutto il tempo lo sguardo incollato al pavimento.






​Suilejade


Dimmi la veritàWhere stories live. Discover now