.:Capitolo dieci:.

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Si rialzò dall'angolo in cui si era rifugiata, spaventata dalla sua stessa ombra, e barcollando andò a farsi una doccia. Quando tornò in sala avvolta nell'asciugamano fissò disgustata il pavimento sporco di vomito e storse il naso all'idea di doverlo pulire. Arrivò in cucina ed ingurgitò una caraffa intera d'acqua prima di sentirsi realmente dissetata.

- Questa volta ci sono andata davvero vicina – mormorò guardando fuori dalla finestra. Non ci avrebbe più riprovato. Con la droga aveva chiuso per davvero questa volta.

Era notte inoltrata quando finì di pulire e si distese sul letto, fissando il soffitto. Non ce la faceva più. Non sapeva più cosa provare per tentare di uscire da quell'apatia che le si era incollata addosso come il petrolio sulle penne di un gabbiano. La perdita dei suoi genitori l'aveva devastata, e con loro aveva perso anche la capacità di provare emozioni. Non voleva realmente farla finita quando aveva preso la malsana iniziativa di ingurgitare una dose doppia di quella merda, voleva solo assicurarsi di riuscire a sentire qualcosa. E aveva funzionato eccome, anche se non era stato esattamente come lo aveva immaginato, non aveva trovato ciò che stava cercando.

Ma cosa voleva? Oh, sapeva esattamente di cosa aveva bisogno, ma era troppo codarda per ammetterlo a se stessa. Quel desiderio era rimasto nell'angolo buio della sua mente per tutto quel tempo, acquattato come un gatto, pronto a balzare fuori non appena fosse stato sufficientemente stuzzicato.

Ma non poteva più ignorarlo, aveva provato tutto per compensare quella mancanza in qualche modo, ma senza successo. Le lamette non le bastavano più, il dolore che infliggevano era troppo effimero e momentaneo per appagarla veramente.

- Cristo Santo, mi faccio pena – si disse coprendosi gli occhi con un braccio – sono fuori di testa, completamente fuori di testa – si ripeté girandosi sul lato destro.



Il giorno dopo si alzò alla solita ora, si vestì e si diresse al lavoro ma, per la prima volta dopo settimane, si fermò al bar per fare colazione. Un cappuccino e mezzo cornetto dopo le sembrava di aver appena finito il pranzo di Natale. Il suo stomaco le doleva leggermente, non più abituato ad essere riempito, ma la scarica di endorfine che l'aveva attraversata dopo il primo morso rendeva quel fastidio più che piacevole. Quando uscì dal bar una folata di vento le scompigliò i capelli e un mezzo sorriso le illuminò il volto, non tanto perché si sentisse meglio, ma perché aveva finalmente deciso di arrendersi ai suoi bisogni.

Quando uscì dall'ufficio il sole era ormai tramontato, era stata una giornata lunga e stancante, ma il meglio doveva ancora venire. O almeno quello era ciò in cui sperava.

Prese la metro, ma non verso casa. Era così agitata da non riuscire a tenere le gambe immobili, le vedeva saltellare quasi dotate di vita propria. Tentò di sistemarsi meglio sul sedile, cercando di alleggerire la tensione, ma senza successo. Sbuffò un paio di volte, non era sicura se non vedesse l'ora di arrivare a destinazione o se sperasse che quel viaggio durasse in eterno facendole cambiare idea.

Quando si ritrovò davanti a quell'enorme palazzo di vetro non poté fare a meno di lasciar scorrere lo sguardo verso l'alto, per poi venire percorsa da un senso di vertigine. Serrò gli occhi, strinse i pugni e serrò la mascella – O adesso o mai più – si disse, e scattò in avanti.

Le porte automatiche si aprirono, lasciandole libero il passaggio, e continuò a camminare per il lungo corridoio. Solo all'ultimo decise di prendere le scale, stare ferma dentro l'ascensore le avrebbe messo addosso ancora più tensione di quella che già aveva. Ciò che non aveva stupidamente calcolato erano i piani che avrebbe dovuto fare, ma ormai era a metà, non avrebbe avuto senso tornare indietro o prendere l'ascensore, ammettendo la sconfitta. La testa però le girava per lo sforzo, evidentemente le energie della colazione erano terminate. Frugò nelle tasche del giubbotto e trovò un cioccolatino ripieno di liquore che le aveva regalato quella stessa mattina il barista. Lo scartò e lo mise in bocca rabbrividendo di piacere. Aspettò qualche minuto per riprendere fiato e poi riprese la sua salita.

Arrivò davanti a quella che avrebbe potuto senza problemi considerare la porta degli inferi. La saliva le si azzerò, cosciente di essere giunta ad un punto di non ritorno. Alzò la mano tremante e suonò il campanello, trattenendo il fiato quando sentì il suono propagarsi dietro di essa. I secondi sembravano passare al rallentatore, non un suono proveniva da oltre l'uscio. Era passato un minuto abbondante e ancora non aveva ricevuto nessuna risposta. Lasciò andare un sospiro carico tanto di delusione quanto di sollievo, e si voltò facendo per andarsene quando sentì la serratura scattare e la porta spalancarsi.





​Suilejade



Dimmi la veritàOnde as histórias ganham vida. Descobre agora