CAPITOLO 13

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Era ritornato nel suo appartamento di Parigi in una giornata leggermente nuvolosa. Era passato alla cattedrale e aveva lasciato il messaggio al suo contatto dicendo che l'operazione era partita come previsto, ora aveva qualche giorno per rilassarsi e godersi la città perché gli ordini che aveva ricevuto erano che doveva rimanere lì per due settimane prima di partire per Roma dove avrebbe cominciato a preparare tutto. Quello che avrebbero dovuto compiere da lì ad alcuni giorni, sarebbe entrato nei libri di storia, ne era consapevole. Era un'operazione così complessa e articolata che avrebbe cambiato la storia non solo del suo paese ma del mondo intero. Questa era senza alcun dubbio la missione più ardua che gli avessero mai assegnato. Non che questo lo preoccupasse in alcun modo, lui non era stato addestrato per porsi domande o avere delle remore, lui doveva solo eseguire gli ordini e questo era ciò che avrebbe fatto. Però al contempo capiva che ciò che dovevano compiere era decisamente particolare. Doveva curare ogni più piccolo dettaglio dell'operazione, non poteva fallire. Si sistemò sulla poltrona del salotto mentre con la mente continuava a valutare tutte le possibili conseguenze di ciò che sarebbero andati a fare, soprattutto la fuga. Perché riuscire a lasciare l'Italia dopo quello che avrebbero fatto sarebbe stata la parte più difficile.

***

Pioveva, a Washigton mancava poco all'alba. S'era levato anche il vento che trasportava la pioggia facendo in modo che l'autista fosse quasi accecato dalle luci che si rifrangevano sull'asfalto creando false prospettive, fu per questo che pigiò i freni per evitare qualcosa che sembrava gli venisse incontro. La piccola auto era invece ancora a destra della sua corsia. L'autista della limousine si rese conto che la manovra era stata inutile, si chiese se i suoi passeggeri se ne fossero accorti. «Scusate signori» disse rivolto all'intercom e guardando nello specchietto retrovisore la parete di vetro che li separava. Nessuno dei due uomini seduti dietro rispose, eppure la luce del microfono era blu, segno che il circuito era aperto. La limousine svoltò costeggiando il fiume Potomac. La luce dell'intercom lampeggiò di rosso. L'autista sapeva che questo significava che i due passeggeri non volevano essere disturbati, la parete di vetro dietro le sue spalle, si scurì improvvisamente lascandolo solo e concentrato nella guida, d'altronde su quei sedili posteriori si erano spesso prese decisioni importanti per le sorti del paese. Appena i vetri si furono scuriti completamente e la lampadina divenne rossa fissa, Harold Wilson si voltò verso il suo interlocutore «l'operazione è partita» disse sistemandosi meglio sul sedile «ora non si può più tornare indietro» continuò verso l'uomo. Il vice direttore delle operazioni Bill Berber annuì con un senso di crescente preoccupazione «mi auguro che tutto fili liscio e che non si venga mai a sapere chi c'è dietro questa operazione». Harold cercò di tranquillizzarlo «black storm è sicura» sentenziò «e fra venti giorni farà cambiare l'esito della votazione al senato».

***

Maria si teneva saldamente aggrappata a Michael mentre la moto sfrecciava tra le curve sinuose che costeggiavano il litorale. La terra dove era nata, era davvero una terra meravigliosa, degli angoli di assoluto paradiso che in quel momento, per come si sentiva, le sembravano ancora più belli. Era sulla moto di suo nonno, la stessa sulla quale lui la scarrozzava facendola sentire una principessa quando era piccola, e ora stretta a Michael le sembrava davvero di essere la protagonista di una di quelle fiabe. Era felice in quel momento come forse non lo era mai stata in tutta la sua vita. Lui fermò la moto davanti ad una gelateria. Scesero ed entrarono nel locale. Si sedettero ad un tavolo posto in angolo, su una terrazza contornata da piante fiorite di limoni che si affacciava sul mare. «Avevo visto questo posto tempo fa e avevo voglia di venirci con te» disse lui appena si furono seduti, «c'eri già stata?». «No, non lo conoscevo» rispose lei guardando il panorama che li circondava. Erano a circa quaranta chilometri dal paese. Ordinarono una colazione a base di granita con panna e brioches calde. E così, senza averlo preparato e in modo spontaneo quasi naturale, iniziarono a parlare, raccontandosi tutto. All'inizio fu il turno di Maria. La sua adolescenza, i suoi ricordi, la scuola, il rapporto con sua nonna e l'amicizia intensa e unica con Teresina. Poi arrivò il momento di parlare dell'Università, delle sveglie alle quattro e mezza di mattina per prendere il pullman che l'avrebbe condotta in città, della facoltà che frequentava, dei sogni che non si erano realizzati anche per colpa dell'incontro con Enrico. Un ragazzo di quattro anni più grande di lei, proveniente da una famiglia benestante, che sembrava conoscere tutti in università e che, dopo un po' che si frequentavano, le era sembrato l'uomo giusto per lei. Aveva raccontato dei mesi di passione che avevano trascorso insieme e di quella che poi si era rivelata la giusta conseguenza di un rapporto che per diversi motivi non era destinato a durare. Michael aveva ascoltato con interesse e attenzione, voleva conoscere tutto di lei e quindi fu letteralmente rapito dalla storia di Maria e di conseguenza, quasi in modo spontaneo, si era lasciato andare anch'egli ai ricordi. Gli raccontò che non aveva mai conosciuto sua madre se non attraverso i racconti che suo padre gli faceva quando era piccolo, poi le disse di come suo padre fosse morto quando lui aveva cinque anni e di conseguenza del fatto che non avesse mai avuto una famiglia che non fosse l'esercito, e piano piano, per la prima volta, iniziò a liberarsi di una parte di quel macigno composto dal suo passato e dalle sue colpe. Le disse della carriera militare, di alcune missioni a cui aveva partecipato ma soprattutto di quel giorno che aveva cambiato per sempre la sua vita, quel giorno che entrarono in quella piccola città semi distrutta da settimane di guerra e bombardamenti. La stessa città a cui avevano avvelenato i pozzi, quella città silenziosa che sembrava morta. Invece non lo era. Tra i numerosi corpi che giacevano a terra ne vide uno che ancora tremava, era quasi nascosto, coperto dalle braccia di quella che probabilmente doveva essere sua madre in un ultimo disperato tentativo di proteggerlo. Fu come ricevere un pugno nello stomaco. Vide, il corpo scosso da spasmi e con la schiuma bianca alla bocca, di un bambino di circa quattro anni. Un bambino inerme, che lo guardava con l'espressione di dolore dipinta sul volto e che tremando sembrava chiedere perché. Lui aveva provato a darsi una risposta, a darsi una motivazione per ciò che avevano fatto, ma il volto di quel bambino tornava prepotente davanti ai suoi occhi distruggendo tutte le assurde ipotesi che vanamente costruiva. La verità è che aveva eseguito un ordine, e con quell'ordine aveva ucciso degli innocenti e questo non riusciva più a sopportarlo. Quella era stata l'ultima missione. Aveva lasciato l'esercito, aveva lasciato l'unica famiglia che avesse mai conosciuto. Maria in quel momento percepì il dolore di Michael quasi come se fosse una cosa reale, come se potesse toccarlo «hai eseguito un ordine, un ordine bestiale e atroce al quale non potevi rifiutarti» cercò di tranquillizzarlo anche se quel macigno che lui aveva dentro stava opprimendo anche lei. «Avrei dovuto disobbedire». «Avresti rischiato la corte marziale» rispose lei «e non sarebbe servito a quel bambino perché avrebbero mandato qualcun'altro». Michael si sentiva strano, per la prima volta riusciva a parlare con qualcuno di tutto quello che aveva dentro, quasi senza paura «quello che non capisco» disse sistemandosi sulla sedia «è dove era Dio?» fece quella domanda quasi con un senso di rabbia. Maria non sapeva cosa rispondere e allungandosi leggermente sul tavolino gli prese la mano stringendola. Michael accennò un sorriso duro «ho partecipato a moltissime missioni, ho ucciso molti uomini mentre ho visto morire al mio fianco soldati migliori di me» la guardò con una forza e una rabbia che lei non aveva mai visto «perché Dio non ha fatto morire me?». Maria si sentì impotente mentre una lacrima le solcava il viso. Michael aveva scoperchiato il vaso e finalmente libero, continuò, come un fiume in piena che straripa da quegli argini costruiti artificialmente per cercare di tenerlo nel suo giaciglio, «se Dio esiste davvero non doveva permettere tutto questo, non doveva permettere che io eseguissi quell'ordine» strinse le mani a pugno con tanta forza che le nocche divennero viola «non doveva lasciarmi vivo» il suo viso si era trasformato in una maschera di dolore «la morte mi ha camminato accanto così tante volte che ne riconosco persino l'odore. L'odore della paura, del dolore, quell'odore che sentivo in ogni missione che compivo. Un odore che era vivo, palpabile e che avrebbe potuto avvolgermi e portarmi con se in ogni momento» abbassò gli occhi «ma non lo ha fatto, la morte mi ha schivato quasi disgustata, lasciandomi solo, solo con i miei peccati, solo con la mia anima che mi corrode dentro giorno dopo giorno». Maria, non riusciva più a sentirlo, si alzò straziata dal dolore che vedeva in lui e facendo il giro intorno al tavolino si andò a sedere sulle sue gambe e lo abbracciò. Un gesto dolce, spontaneo che fece sciogliere gran parte della tensione e della rabbia che Michael aveva dentro di se. Lei lo stringeva come a proteggerlo da tutto il dolore che aveva intorno. Come se con quel gesto potesse far evaporare tutta quella rabbia repressa che, come diceva lui lo stava corrodendo. Ora come non mai, sapeva che non lo avrebbe fatto andar via. Avrebbe lottato con le unghie e con i denti per lui, per non perderlo. Ora che lo aveva trovato, ora che aveva cominciato a capire il suo dolore, la sua forza, ora che aveva intravisto finalmente, attraverso quel piccolissimo spiraglio che lui le aveva concesso, fin dentro la sua anima più profonda.

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