CAPITOLO 8

216 47 38
                                    

David prese la pistola dalle mani dell'istruttore e velocemente la puntò sui prigionieri pronto a fare fuoco, quando la fredda canna di una beretta si posò sulla sua tempia «se vuoi uccidere quegli uomini dovrai farlo con le tue mani» disse Michael. David sorrise, Michael aveva perso il controllo, era crollato e questo significava che lui aveva vinto, era il primo del corso. Abbassò l'arma sentendo la pressione aumentare sulla sua tempia con la soddisfazione dipinta sul volto. Michael fece un sospiro prima di continuare «perché anche se spari quei due uomini, non moriranno, la pistola è più leggera del normale» aggiunse mente David stava cercando di soppesare l'arma che aveva in mano «è caricata a salve» continuò allentando la pressione dalla tempia di David «e quegli uomini non sono terroristi» abbassò anche lui l'arma «guarda i loro piedi. Nelle nostre carceri i detenuti sono sempre scalzi, se quegli uomini fossero dei veri detenuti avrebbero i piedi neri e callosi non puliti e curati come quelli». David imprecò nella sua mente, Michael aveva ragione, era stato più attento di lui, era rimasto concentrato e aveva colto i particolari anche in una situazione al limite come quella. Lo aveva battuto, aveva vinto lui. Michael fece roteare l'arma sul suo dito indice fino ad afferrarla per la canna e girandosi leggermente di lato la riconsegnò all'istruttore che lo stava guardando con un sorriso di soddisfazione stampato sul volto. «Abbiamo il vincitore» disse l'istruttore prendendo l'arma dalle mani di Michael.

***

Maria si alzò dal letto, prese una camicia di Michael che era posata sulla sedia lì vicino e la indossò, non solo nell'intento di coprirsi, ma anche perché nonostante le due ore appena trascorse insieme, voleva sentire ancora il suo odore. Lo voleva addosso, sulla pelle. Dopo quel bacio intenso e carico di dolore che si erano scambiati sotto il portico della cascina, si erano trovati quasi senza nemmeno rendersene conto, sdraiati nel letto insieme. I loro corpi si erano cercati avidi, dissetandosi l'uno nell'altra, quasi come fossero un tutt'uno, quasi come se fossero l'uno il completamento dell'altro. Era stata passione pura, a tratti violenta e rabbiosa, ma soprattutto un liberarsi di tensioni e frustrazioni, un esplosione di sensi e di piaceri. Si era sentita bene mentre facevano sesso, e si sentiva bene anche ora. Bene come non le capitava più da tanto tempo. Sorrise vedendo i suoi indumenti sparsi a terra, neanche ricordava quando e come li aveva tolti. Andò al lavello a prendere un bicchiere d'acqua voltando la schiena a Michael. Si fermò in piedi davanti alla piccola finestra a guardare il panorama del mare. «Mi è sempre piaciuta questa vista» disse sorseggiando l'acqua. «Per essere sinceri preferisco quella che sto guardando in questo momento io» rispose Michael sdraiato nel letto senza togliere gli occhi dal corpo di lei. Maria sorrise senza voltarsi, vedendo dal riflesso del vetro la sagoma di Michael ancora sdraiato nel letto che la fissava «straniero così mi lusinghi» posando il bicchiere per poi girarsi esattamente di fronte a lui e lentamente slacciare i bottoni della camicia lasciandola scivolare ai suoi piedi e restando completamente nuda. Non aveva più nessuna paura, non sentiva più nessuna insicurezza o vergogna, per la prima volta nella sua vita si sentiva finalmente libera. Michael accarezzava con lo sguardo ogni centimetro della sua pelle «Si, decisamente preferisco questo panorama» affermò. Maria si avvicinò lentamente al letto «abbiamo ancora un po' di tempo prima che diventi buio» disse lei maliziosa inginocchiandosi sul bordo del letto per sdraiarsi sopra di lui «hai qualche idea su cosa potremmo fare nel frattempo?» Michael sentiva il desiderio premere contro le lenzuola «si piccola, qualche idea ce l'ho» sospirò baciandola e stringendola a se, la fece rotolare posizionandosi esattamente tra le sue gambe «forse anche più di una» sorrise prima di scendere con le sue labbra fino al centro del suo universo.

***

A Washington non era ancora l'alba, ma i primi cenni di un sole nascente tingevano di rosa le lontane colline della Prince Georges County e riflettevano sui vetri dei grandi grattaceli di una città ancora addormentata. Al sesto e ultimo piano del grande palazzo rettangolare, parte della sede centrale della CIA, meglio nota come Langley, le luci erano ancora accese. Il capo della sicurezza nazionale Harold Wilson, si passò le dita sugli occhi stanchi, si alzò e si avvicinò alla grande vetrata. Il filare di betulle nascondevano in parte la vista del Potomac. Era stata un'altra notte insonne, un'altra notta ad organizzare la missione Black Storm. Dietro di lui con altrettanti occhi stanchi c'era Bill Berber vicedirettore delle operazioni «allora è tutto?» chiese come se ripetendo la domanda potesse ottenere una risposta più tranquillizzante. Harold si girò a guardare l'uomo che aveva parlato «il nostro contatto ci ha dato l'itinerario esatto modificato con le tappe nuove che verranno fatte» sorrise «abbiamo l'uomo, abbiamo l'occasione, abbiamo il movente» rispose passandosi una mano tra i capelli «Black Storm è già partita» continuò cercando di tranquillizzare l'uomo «solo quattro persone oltre te sanno di questa operazione» si sedette di nuovo nella sua poltrona «ho ritenuto di comunicarti la situazione per non avere problemi con eventuali altre operazioni in Italia che potrebbero intralciare Black Storm». Berber annuì «non avrai ostacoli da parte mia, anche se penso sia un'operazione molto rischiosa e con degli esiti imprevedibili» rispose con una crescente tensione nella voce. Harold sorrise «lo so ma non abbiamo alternative. Inutile dirti che tutto quello che è stato detto in questa stanza, resta in questa stanza» continuò fissando l'uomo. Bill annuì, conosceva bene le regole del gioco anche se quello era tutt'altro che un gioco.

***

Maria, con il dito indice, seguiva leggera una delle diverse cicatrici che Michael aveva sulla schiena «questa come te la sei fatta?» chiese con un sussurro quasi ad aver paura di risvegliare in lui il dolore. «Un colpo di mortaio mentre trasportavo un uomo sulle spalle» rispose mentre il ricordo cominciava ad essere sempre più nitido. «Perché lo trasportavi?» lei accennò un sorriso accarezzandogli il viso. A Michael sembrava di sentire nelle narici l'odore della polvere da sparo «Era ferito, dovevamo raggiungere il rifugio dove avrebbe ricevuto le cure necessarie» la mente lo stava riportando indietro... L'ultima esplosione, vicinissima, lo scaraventò a terra tra nuvole di polvere e odore di bruciato. Immediatamente, strisciando, si avvicinò al corpo dell'uomo che era rotolato a qualche metro da lui, pronto per riprenderlo sulle spalle... Strinse i pugni cercando di fermare il dolore mentre i ricordi lo stavano trascinando nel baratro «non sono riuscito a salvarlo» la sua voce sembrava quasi come un lamento che arrivava fin dal profondo dall'anima. Maria, prese il suo viso tra le mani e lo baciò dolcemente sulle labbra. Quel bacio spontaneo sembrò riportarlo in superficie sembrò risvegliarlo, si guardò in giro muovendo gli occhi, era di nuovo nella sua casa accanto a lei che lo guardava mentre una lacrima iniziava a rigarle il viso «non è colpa tua» disse lei baciandolo ancora con una dolcezza che lui non aveva mai conosciuto, senza dargli il tempo di rispondere. «Non è colpa tua» ripeté sussurrando dentro le sue labbra «non è colpa tua». Mentre lui respirando dalle labbra di lei, sentiva gli occhi colmi, gonfi e per la prima volta si lasciò andare e, pianse, mischiando le sue lacrime a quelle di lei, assaporando con quel bacio il gusto salato del dolore.

REBORNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora