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Violet.
Stamattina appena ho aperto gli occhi ho visto lo squallido, mezzo crepato, sudicio muro grigiognolo della mia "camera d'albergo".
Non ho niente da fare in questo posto di merda, posso solo cercare di non impazzire.
D'altronde questo è un posto per pazzi e sento che se ora non sono pazza presto lo diventerò continuando così.
Mi resta solo da pensare.
Pensare un po' a tutto.
E che non c'è niente di peggio che ritrovarsi di fronte a quei sentimenti di anni fa e non poter far niente.
Ancora peggio è quando cerchi di scappare e più sembra che ti corrano dietro, quasi da volerti prendere, di nuovo.
Più ti dici -scappa, se ti lasci prendere sei fottuto.-
Più sembrano dirti -fermati, guardami, lasciati prendere-.
Io al primo accenno mi sono fermata, mi sono voltata per sentirli meglio.
E quando l'ho fatto non ho trovato nessuno, quei sentimenti sembravano non parlarmi più.
Forse volevano vedere fin quanto avrei resistito, o semplicemente, per il gusto di vedermi fermare e lasciarmi prendere.
Adesso però è troppo tardi per riprendere la corsa.
Si sa, giocare a rincorrersi è sempre stato pericoloso.
Ed infondo si sa anche che la paura di riprovare qualcosa, la paura di rivederlo, di guardarsi, di sorridersi, è già un sentimento.
Che io voglia ammetterlo o meno sono già fottuta così.
Mi ricordo di un signore, sulla sessantina, e lo vedevo, sempre in strada, sempre, ogni volta che andavo al tabacchino per comprare le sigarette.
Si può dire che l'avevo visto crescere, di circa due anni.
Insomma, se due anni fa aveva cinquantotto anni, potrei dire di esserci stata ai suoi sessanta, se ne aveva già sessanta, allora ci sono stata ai suoi sessantadue.
Il fatto è che, qualunque età avesse avuto, nell'arco di tutti e due gli anni faceva sempre la stessa cosa, si muoveva sempre allo stesso modo: era in cella.
Nella cella dell'abitudine.
E come ne esci, da lì?
Lo ricordo così, con i soliti occhiali da vista che, sono sicura, non bastavano più, e con la solita espressione vaga che posava su di un volto pallido, scarno, un'espressione vaga che insieme a lui vagava, per terra e per chissà quale universo a me sconosciuto.
All'inizio pensavo volesse rubarci le sigarette, tant'è che io velocizzavo il passo quando gli passavo accanto.
Poi, tutt' a un tratto, mi attanagliava una febbrile sensazione che mi spingeva a voltarmi indietro, per chiedergli scusa.
Così, ci pensò il tempo a farmi vergognare di quel maligno pensiero.
Perché i giorni passavano, le sigarette finivano, e lui era lì, a fare le stesse cose strane.
Ma oramai m'ero decisa a scrutarlo più a fondo, mi era partita un'esigenza interiore, e mi interessava sapere cosa cercava, in quel posto vuoto dove c'era solo un tabacchino e qualche albero frastagliato.
Non era certo un mendicante, non l'avevo mai visto chiedere spiccioli a nessuno, e vestiva bene.
Però quel giorno che decisi di osservarlo più da vicino, notai un particolare.
Aveva estratto dal taschino della giacca dei piccoli foglietti, o almeno, così pareva dalla mia angolazione.
Li aveva guardati fisso, quei foglietti, per qualche secondo, poi li aveva posati nuovamente all'interno del taschino, con apparente cautela.
Dopo, aveva ripreso a guardarsi intorno, a tratti rincorreva un muretto, e successivamente, tornava piano sui suoi passi, con la rassegnazione in viso, una rassegnazione talmente assopita che puoi vederla soltanto nei film, se sei fortunato.
Mi resi conto che avevo realmente assistito alla proiezione di un film, del quale volevo assolutamente conoscerne il finale.
Non feci in tempo ad avvicinarmi a quel signore che lo fecero due ragazzine, molto piccole, al posto mio.
"Signore, possiamo farle una domanda?"
Lo sguardo del vecchio s'illuminò di speranza.
"Ditemi, fanciulle."
"Ha perso qualcosa? Vuole una mano a cercarla?"
"Sì. Ho perso qualcosa. Ma devo trovarla da me."
"Cos'è? Un anello? Una spilla? Un documento?"
"E' una bambina, la mia bambina."
Le due si allontanarono, stralunate, senza dire una parola, lasciandolo lì, a rimuginare su quel che aveva appena dichiarato. O forse solo a pensare di aver riconosciuto sua figlia negli occhi delle due passanti.
Il mio pacchetto di sigarette poteva aspettare ancora un po'.
Mi avvicinai anch'io.
Lui mi guardò, e io gli sorrisi spontaneamente.
Non l'avevo mai fatto in due anni.
Ricambiò il sorriso, e subito, si rimise all'opera.
Stetti altri pochi minuti ad osservare i suoi movimenti.
'Se solo quella bambina potesse essere al posto mio' pensavo 'si sorprenderebbe dell'amore di suo padre'.
E capii immediatamente cosa aveva estratto dal suo taschino: foto, le foto della sua bambina, avevo presunto.
Quando fui tornata a casa, non avevo solo un pacchetto nuovo di sigarette, avevo una storia commovente da raccontare a mia madre.
Infatti a cena le raccontai tutto.
Finalmente, dopo due anni, riuscii a parlarne con lei.
Mia madre, inizialmente, si stupì. Poi, pare ebbe una sorta di insight, e mi chiese:
"Per caso portava gli occhiali da vista?"
"Sì, perché?"
"Era pallido? Indossava una giacca?"
"Sì mamma, ma lo conosci già?"
"Certo. Lo conoscono tutti. E' un signore pazzo, vedi di allontanarti quando gli passi vicino."
"Pazzo? Pazzo perché? Perché cerca la sua bambina? Perché non ha mai smesso di sperare?"
Protestai, adirata.
"Non troverà mai quella bambina, perché quella bambina è morta due anni fa, investita da un'auto, sbattuta a sua volta contro l'albero di fronte al tabacchino."
Era tutto chiaro, ma non abbastanza da farmi cambiare idea.
No, non era pazzo, era solo un uomo che aveva perso l'amore più grande della sua vita, e per non morire, s'illudeva di poterlo ritrovare... lì, proprio lì dove l'aveva smarrito.
Mentre cerco di ricordare qualche altro avvenimento sento la voce del ragazzo che ha la "camera" vicino la mia.
Parla da solo a volte.
È un canta storie, a volte ne dice di belle ed altre di brutte.
Era uno importante lui quindi ne sa tante.
Sta farneticando qualcosa da un po' ormai così mi alzo e mi avvicino alla porta per sentirlo meglio:
-Esisteva nel 1930 una strada chiamata Derville Street nell'Ohio, USA. Quella strada si trovava al centro di un minuscolo paesino di appena 1500 abitanti, gente onesta che lavorava per mangiare e mangiava per lavorare, eppure il primo giorno di Marzo del 1932... BAM!
Un uomo di 54 anni accoltella 16 volte la madre , dopodichè prende il coltello e cerca di uccidersi piantandoselo nello stomaco, ma senza succedere nell'intento.
Viene subito portato in ospedale e dichiarato pazzo, nel mentre, però, un 15enne ha la bella idea di tornare a casa, stordire la sorellina e affogarla nella vasca da bagno. Arrestato, viene anche a lui dichiarata l'infermità mentale e viene rinchiuso insieme all'uomo...
Ma dove?
In città non c'erano mai stati casi di malati mentali, perciò si decise di costruire un manicomio, soprattutto perché casi simili ai due precedenti si stavano verificando sempre più frequentemente nel paese. Il piccolo edificio si dimostrò utile per i successivi 4 anni, finchè tutti e 257 i pazienti iniziarono a manifestare gli stessi disturbi che li portarono alla morte qualche mese dopo: febbre (per chi non ce l'aveva già), allucinazioni (per chi non le aveva già), crisi di epilessia...
Un gran numero di persone, impaurite dall'accaduto, decise di trasferirsi in una via differente, o addirittura in un'altra città. Questo numero, poi, raddoppiò in seguito a diversi casi riportati di vandali minorenni suicidi, oppure in preda a violente convulsioni poco dopo essersi addentrati nel vecchio manicomio abbandonato e in rovina dopo la morte di tutti i pazienti.
Giorno dopo giorno, quell'edificio marciva sempre di più.
In qualche settimana cadde il soffitto, in un mese un quarto della costruzione era completamente scoperto, ma la maggior parte degli abitanti aveva già alzato i tacchi da lì senza l'intenzione di ritornare. Il sindaco, per rimettere le cose a posto, disse ai suoi operai di demolire quel dannato manicomio, ma il lavoro si dimostrò più difficile del solito, ci volle più del previsto e alla fine l'opera non fu completata, causa rifiuto dei muratori.
La città ormai era deserta, nessuno più voleva abitarci e Derville street venne da allora soprannominata Mad street, perchè in quella strada vi era ormai solo quell'edificio. Mezzo distrutto.
Ora è passato tanto tempo, la gente ci scherza un po' su, c'è addirittura una filastrocca in Italia molto popolare che viene cantata spesso ai bambini riguardante quella casa.
Bella, bella davvero...
In Via dei Matti.
Numero 0.-
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