Capiteci, amateci, rispettateci

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Giacevo lì, grondante di sangue. Con la coda dell'occhio riuscivo a scrutare il margine della mia pozza di sangue che si estendeva sino a metà campo.

Ecco dove mi hanno portato questi mesi di esperienze. Serve davvero apparire in questa maniera, spietati ed aggressivi? Solo adesso lo avevo capito...

Non siamo solo mostri, la grandezza della sfera in cui ci costringete a vivere, non è paragonabile con quella del nostro cuore; esatto, anche noi ne abbiamo uno.

Vi prego capiteci, amateci, rispettateci.

Era molto più facile quando, ancora cucciolo, correvo per le lande, libero e felice. Quando si è piccoli non si è consapevoli della propria forza, spesso non si ha la possibilità di usarla. Pensavo che quella fosse e rimanesse per sempre la mia casa, come contraddirmi? Non avevo mai varcato la soglia del vulcano, non avendo mai il bisogno di farlo.

Non mi piaceva molto star solo, ma quelle poche volte che succedeva mi sentivo sollevato dal vento che scompigliava la folta pelliccia; era bello stare insieme ai propri simili, guardavo stupefatto i grandi balzi degli Arcanine, sicuro che anche io un giorno potessi eguagliarli. Ovviamente spesso mi capitava di incontrare altre specie, non mi importava dato che l'unica diversità che mi davano all'occhio era l'aspetto.

Poi c'erano loro, non sembravano pokémon, non lo erano sicuramente. Alti, slanciati, con peluria solamente nella zona in cui si trovava il 'muso'.

Umani, così li chiamava mamma.

Diceva di starne alla larga, teneva troppo a me da farmi andare via. Andare via? Non capivo.

E' quel giorno che successe, lasciato solo da mamma in quella che chiamavo 'tana'. Lo vidi arrivare. Era un uomo, non sembrava assai diverso dagli altri. La mia reazione fu subito titubante.

Mi si avvicinò, lanciò una sfera a terra, ne uscì un pokémon rosa e paffuto il quale si mise a cantare... oh, che canto soave pensai, mi sentivo rilassato e leggero; il mio corpo reagì al contrario, crollai a terra ad occhi chiusi.

Addormentato, sì, mi ero addormentato. Questo pensai mentre riprendevo conoscenza; ciò che mi chiedevo non era il fatto di come ci riuscii, ma di cosa ci facevo in quel luogo. Non era la mia tana: erba, alberi, e case. Così le chiamavano gli umani che si vantavano delle proprie prestazioni edili.

Venni avvicinato ancora una volta da quel ragazzino, con fare dolce mi accarezzò la testa, poi, prendendomi per la mascella, aprì la mia bocca scrutando i miei denti più che accuratamente. Mi guardò, sorrise in maniera alquanto strana, mi legò con un cappio e mi condusse in una di quelle case, sembrava diversa, lo era.

Lì vidi un pokémon assieme ad un umano, quest'ultimo lo chiamava Ursaring. Dall'altra parte un altro uomo, con un pokémon simile a me dal punto di vista della pelliccia; improvvisamente quel grande orso con lieve scatto caricò il malcapitato pokémon, che, con un disarmante urlo, sbatté violentemente contro uno dei muri, cadendo tramortito.

Collegai queste scene alle parole dette da mia madre durante i miei attimi di curiosità. Lotte Pokémon, la parola non prometteva bene sin dall'inizio, sapevo che anche io avevo delle mie capacità e, guardando per pochi secondi lo sguardo del mio allenatore, capii che dovevo iniziare a metterle in pratica. Ebbene sì, dal momento in cui mi risvegliai, quell'uomo divento il mio allenatore. Vedere scene di quel genere mi facevano tremare più che leggermente ma, se non riuscivo ad avere la meglio in queste famigerate lotte, avrei deluso il mio allenatore? Per me era importante questo particolare, essendo lontano dalla mia casa dipendevo solo da lui. Potevo solamente impegnarmi, per quanto possibile.

Sentii il cappio tirare, era il momento di andare. Venni portato su un terreno, davanti a me dei ceppi di legno, l'unico ordine datomi era quello di abbatterli.

Creepypasta - Second BookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora