Senza titolo

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Ho sempre detestato le "note dell'autore" e ancor di più l'inserimento di capitoli che non c'entrano niente con lo svolgimento della storia. Per questo ci ho pensato molto bene, ma alla fine he deciso di pubblicare lo stesso queste righe perché ho bisogno di condividerle. Sono impressioni molto a caldo, prendetele per quello che sono.

L'Italia dopo sessant'anni giusti non ci sarà ai mondiali. Abbiamo tanto riso degli Stati Uniti eliminati dal Panama ed eccoci nella stessa situazione. Con la differenza che l'importanza del calcio in Italia non è nemmeno paragonabile a quella di quello Americano.

Abbiamo perso dopo novantotto minuti (45+5 e 45+3) di pura passione. I primi, forse, di queste qualificazioni prive di emozioni.

Abbiamo criticato l'allenatore, i giocatori, il presidente della FGCI, gli arbitri, l'erba degli stadi e il tessuto delle magliette e delle stringhe degli scarpini.

Non voglio entrare nel merito di chi abbia colpa di cosa. Perché non ne ho le capacità e perché francamente, adesso, non mi interessa nemmeno discuterne.

Adesso so solo che abbiamo perso e siamo fuori dai mondiali. Questa è l'unica cosa che conta.

Nonostante quello che dicevo, un po' per prendere in giro i miei interlocutori, un po' per una specie di scaramanzia, io ci ho sempre creduto. Ci ho creduto fino all'ultimo secondo. Ci ho creduto fino all'ultimo tiro di Florenzi, dopo il bacio a quel pallone nemico.

Ci ho creduto ogni volta che la voce del radiocronista si faceva più concitata descrivendo le azioni in area. E ho continuato a crederci quando già il fischietto si riposava dopo gli ultimi tre fischi.

Ci ho messo qualche minuto a capire che era finita. In tutti i sensi.

E sentendo la descrizione di una disfatta ho pianto insieme a Belotti, insieme a Buffon.

Ho singhiozzato pensando che Buffon, De Rossi e Barzagli, campioni del mondo 2006, lasceranno la nazionale dopo questa sconfitta.

Mi sono detta che non è giusto, che non può e non deve finire così, che per certi monumenti del calcio come Buffon bisognerebbe fare uno strappo alla regola e trovargli un ruolo comunque ai mondiali. Ma purtroppo è ovvio e logico che niente di tutto questo è possibile.

Il mio secondo pensiero, però, era già andato oltre la sconfitta, oltre il pianto. Era entrato nell'orgoglio.

E anche se era già mezzanotte passata, ho svuotato l'armadio, alla ricerca di tutti i vestiti azzurri che possiedo.

Oggi, giorno in cui stiamo cercando di digerire e assimilare questa sconfitta, io sono vestita interamente di azzurro. E quando dico interamente, intendo interamente, biancheria, elastico dei capelli, braccialetti e zaino compresi. Come a dire: va bene, abbiamo perso, abbiamo giocato male, non andiamo ai mondiali, ma non per questo smetterò di essere fiera questa squadra. Fedele sempre, nella gioia, ma anche e soprattutto nel dolore.

Ironia della sorte (o segno del destino, non so) sulla mia felpa compare, chiara, la scritta "It's ok."

No, oggi niente è ok.

Quella di cui tutti parlano come di un'apocalisse sportiva è ancora di più il colpo di grazia a questa povera nazione. Non c'è lavoro, non si va più in pensione, la politica è in una situazione di stallo disastrosa, i migranti continuano ad arrivare. E ora non c'è più nemmeno il calcio a distrarci.

Parafrasando Marx, mio padre dice che "il calcio è l'oppio dei popoli".

L'oppio, è risaputo, è un potente antidolorifico. Ecco, se, agonizzanti come siamo, ci togliete anche l'unico antidolorifico che abbiamo cosa ci rimane? X-Factor?

Ora anche il campionato ha perso sapore (almeno per me, genoana disperata, ma sempre fedele, anche qui), perché alla fine, niente, calcisticamente parlando, ci rende orgogliosi come la nostra nazionale.

Quindi, ricapitolando, il giorno in cui la nazionale è disfatta, io vado in giro per Milano vestita di azzurro e con la scritta "It's ok".

Forse sono pazza (e probabilmente è così) o forse questo è l'unico spirito con cui dobbiamo andare avanti.

Fedeli sempre, nella gioia e nel dolore. Consapevoli che, ok, è andata, ora si ricomincia, si deve ricominciare.

E non sto parlando di dimissioni o di grandi rivoluzioni.

Sto parlando di ricominciare a crederci.

Perché nel 2018 non ci saremo. Buffon, De Rossi, Barzagli e forse Chiellini si fermano qui. Ma nel 2022 possiamo fare molto di più.

Tra il 1958 e il 1982 sono passati venticinque anni e sei mondiali.

Se fosse necessario io sono pronta ad aspettarli, per rivedere gli azzurri sul tetto del mondo.

Perché, in fondo, è tutto ok, basta mandar giù e andare avanti, dritti per la propria strada.

E ce lo dice anche il cielo di Milano che, dopo giorni di nuvole, non è mai stato azzurro come oggi.

In vacanza con Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora