Capitolo 10 - Elena-

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Spalancai gli occhi, la stanza nella quale dovevo trovarmi non era inondata di luce, solo una fioca pallida striscia di sole filtrava attraverso le serrande semi abbassate, che mi aveva ferito gli occhi attraverso le palpebre.
Mi osservai intorno completamente stordita. Mi trovavo nella mia camera, lo riconoscevo dal particolare colore del tetto, non bianco ma giallognolo, come diavolo ci ero arrivata? Mi sollevai con calma dal letto tirandomi a sedere, non ricordavo come fossi riuscita ad arrivare alla mia camera, quindi non mi chiesi come potessi essere giunta a sdraiarmi addirittura sul mio letto.

Poggiai i piedi sul freddo pavimento rabbrividendo, alzandomi il giramento alla testa improvviso mi fece perdere l'equilibrio per un istante, dovevo essermi alzata troppo in fretta, mi sostenni con la mano poggiata al muro e stabilizzai per bene i piedi, portandomi una mano alla testa e riprendendo a camminare piano verso il salone.

Percorsi il piccolo corridoio che mi separava da quella stanza barcollando leggermente, la luce del lampadario mi risultò insolitamente troppo luminescente e accesa di bagliori, gettando un occhio al di fuori la finestra che era posta dall'altro capo della stanza, notai che era giorno inoltrato.

William sedeva sulla sedia di fronte il tavolino con la schiena curva in avanti, i ricci scompigliati, mi avvicinai piano a lui, come diavolo ero tornata indietro?

«William» incominciai con voce lieve e colma delle mie colpe, doveva avercela a morte con me per essermi allontanata da lui, anche se non di molto. Ma non potevo di certo biasimarlo.

Lui alzò lo sguardo puntando i suoi occhi scuri nei miei, notai subito la rabbia celatavisi dentro. Le occhiaie erano sempre più marcate, talmente tanto che lo invecchiavano di parecchi anni, opachi e bisognosi di un lungo riposo, le palpebre forse un po' troppo gonfie.

«Elena, siediti» mi impose perentorio e per quanto detestassi da sempre il sentirmi comandare qualcosa, feci come mi era stato detto, con ancora quel senso di colpa che mi aveva colpito appena lo avevo visto seduto con le spalle curve.

«Cos'è successo ieri sera?»

Mi morsi un labbro forte, tentando in tutti i modi di non guardarlo negli occhi. Erano loro i peggiori dittatori della situazione.

«A cosa ti riferisci?»

«Forse al fatto che ti sei allontanata da me non appena ti ho levato gli occhi di dosso! Cazzo, Elena cinque minuti di distrazione e ti allontani per fatti tuoi?! Ma hai idea dei pericoli che corri o per te è solo un fottuto gioco?!» scoppiò, sbottando in un ringhio sin troppo trattenuto, con voce alta e severa dando voce a tutta l'irritazione che aveva dentro. Magari celandovi dentro un minimo di preoccupazione?

Chinai gli occhi verso il basso, sul tavolino, non avendo nemmeno il coraggio di rispondergli.
Al di fuori di ciò che mi ero aspettata e immaginata, la furia delle parole dure su di lui non stonavano affatto, risultava quasi più naturale della sua solita calma costretta e posata con rigidità.

«Mi dispiace è che...» borbottai appena, balbettando scuse inutili.

«E' che cosa, Elena?! Hai idea di cosa hai fatto? Io devo proteggerti, l'ho promesso a mio fratello... ma pensavo che avessi un minimo di buonsenso! Ti chiedo solo di rispettare le mie regole, Elena! Che non servono altro che a proteggerti per tenerti in vita, io non posso stare sempre qui!» il suo tono si abbassò appena di qualche grado, con sempre quella nota gelida di collera pura, eppure non potevo davvero biasimarlo. Ero stata una stupida, me lo riconoscevo benissimo.
Feci vagare lo sguardo sulle pareti intorno a noi.

Ma perché non può stare qui?  Pensai poi.

Potevo avere i miei sensi di colpa, ma anche lui mi doveva qualche spiegazione. Dovevamo instaurare un rapporto alla pari.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 20, 2018 ⏰

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[IN PAUSA] Priests-Un legame sancito col sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora