Capitolo 40

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-MARIE-
-Signora Johnson, penso che sua figlia abbia bisogna di essere aiutata. Deve parlare con qualcuno, deve sfogarsi...si tiene troppe cose dentro, pensa troppo-
Annuisco guardando la scrivania della consulente della scuola di Jenna.
Forse mia figlia ha veramente un problema ed io ho preferito chiudere gli occhi.
-È venuta qui durante una lezione in cui l'insegnante era assente ed è stata in silenzio per un buon quarto d'ora per poi incominciare a piangere. Quando ha preso a parlare non riusciva a spiegarsi bene. La sua voce era tremolante, sembrava...aver paura di tutto. Una volta uscita di qui ho visto che tre ragazze le hanno detto qualcosa, ma non sono riuscita a percepire cosa purtroppo, dopo di che non è più venuta all'incontro successivo che le avevo dato. Senta...probabilmente il preside non vorrà che io le dica questo, ma...gli studenti qui sanno essere molto scaltri e mi è capitato di vedere episodi di bullismo, ma ciò che fanno le ragazzine, con quelle parole...è inconcepibile-
Vorrei sbattere la testa contro un muro.
Jenna aveva provato a farmelo capire, ma io non le ho dato retta, ho preferito collegare tutto all'adolescenza.
-Spero che lei abbia capito le mie motivazioni nel richiedere un colloquio con lei-
Annuisco guardandomi intorno.
-Certo, ho capito-
C'è un momento di silenzio in cui mi guarda con pena e compassione. Ed io sento sempre di più di aver dato il minimo.
-Non c'è nient'altro?-
-No, volevo solo che lei prendesse in considerazione l'idea di mandare Jenna da uno psicologo-
-Beh...allora io vado-
Annuisce stringendomi la mano ed io mi avvio verso l'uscita di questo ufficio.
Oggi Jenna non è voluta neanche alzarsi dal letto, probabilmente aveva scoperto di questo mio incontro. E mi continuo a chiedere cosa stia succedendo, cosa le sta succedendo.
O solo voglia di piangere dopo ciò che mi ha detto per un'ora la consulente.
Vado verso i bagni femminili e mi guardo allo specchio per qualche secondo.
Vedo solo una pessima madre, troppo concentrata sul lavoro per ascoltare sua figlia.
E adesso vedo una pessima madre in lacrime, vorrei solo abbracciarla e tenerla stretta a me.
Sento del vociare venire verso il bagno e colgo l'occasione per entrare in una delle toilette, l'ultima cosa che voglio è farmi vedere in lacrime davanti a delle ragazzine, mi prenderebbero per una quarantenne sull'orlo di una crisi, ciò che per altro sono.
Una volta chiusa dentro la mia mente si distrae non appena leggo il nome di mia figlia sulla parente collegato ad insulti spregevoli.
Chiudo gli occhi istintivamente, il solo pensiero che lei abbia letto una cosa del genere su se stessa mi fa scendere ancora più lacrime. Ma come si fa a pensare certe cose su una ragazza come lei.
-Quest'ora sembra non passare più, per fortuna che quella pazza ci ha lasciato andare in aula stampa tutte e tre-
Sento dire dall'altra parte, probabilmente il vociare di prima.
-Già, avete notato che neppure oggi Jennifer non riesco a dire una parola Johnson si è fatta vedere a scuola?-
La ragazza viene seguita dalle risate delle amiche a seguito. Ma come fanno ad essere così? La consulente aveva ragione su di loro.
-Si, probabilmente non ne avrà avuto il coraggio, sopratutto dopo che l'abbiamo vista uscire dall'ufficio della consulente Swanson, chissà cosa le avrà detto-
-Che si vuole ammazzare, mi sembra ovvio. Le avrà chiesto aiuto-
Ed ecco che viene seguita nuovamente dalle loro stupide risate. Mi sento cadere il mondo addosso, soltanto pensando ha tutto ciò che si è sentita dire Jenna.
-Ma l'avete vista l'altro giorno? Con la maglietta di quel gruppo strano per gente pazza, tutta vestita di nero. Non mi sorprenderò se lo farà in futuro-
Ma certo. Queste ragazze scherzano su un futuro suicidio di mia figlia, come se niente fosse. Non so che fare, non se che pensare.
E se Jenna è così...veramente? Se fosse troppo tardi, se in questo momento in cui io non sono a casa succedesse qualcosa?
Improvvisamente il battito aumenta ed io mi ritrovo obbligata a sedermi sul pavimento.
Mi tremano le mani e sento il cuore uscire dal petto. Sto andando nel panico.
Devo andare a casa, devo andare da Jenna.
Mi concedo qualche secondo per riprendermi per poi uscire velocemente e andarmi a sciacquare la faccia. Quel gruppo di ragazze smette improvvisamente di ridere per poi allontanarsi il più possibile e uscire.
Beh...se ero un professore sarebbero andate probabilmente nei casini, e lo vorrei fare. Vorrei far sapere al preside ciò che ho appena sentito uscire dalle loro bocche, ma non so neanche di chi si tratta e in questo momento sono concentrata nel provare a calmare il mio battito cardiaco.
Una volta entrata in macchina mi dirigo velocemente verso Downtown, devo fare il più veloce possibile. Per fortuna Brooklyn non era trafficata tanto quanto Manhattan, altrimenti sarei finita col lasciare l'auto per la strada e proseguire con i mezzi.
Una volta parcheggiata la macchina mi sbrigo nel chiamare l'ascensore per poi schiacciare il pulsante del nono piano e una volta arrivata mi precipito subito ad'aprire la porta.
-Jenna?-
Parlo a voce alta nel tentativo di chiamarla, ma non sento nessuna risposta.
Vado velocemente verso la sua camera e la ritrovo sul letto, con le tapparelle abbassate mentre guarda il vuoto.
-Jenna, va tutto bene tesoro?-
Mi avvicino a lei per poi sdraiarmi al suo fianco. Addosso a quella maglia, la maglia strana per pazzi che alla fin fine è una semplice maglia a maniche corte nera di una band che le piaceva accompagnata da una maglia a maniche lunghe del medesimo colore sotto. Sempre più coperta di quelle tre racchie.
-Jenna, mi rispondi? Va tutto bene?-
Annuisce continuando a guardare quel punto indefinito della stanza. Sento che si sta spegnendo, e mi rendo conto che solo adesso me ne sto accorgendo. Era così anche prima, ma io feci finta di niente, e adesso eccoci qui.

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