Capitolo 36. Respiro

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Mi posizionai meglio sulla schiena e chiusi gli occhi come aveva detto, dopo avergli restituito la bisaccia ed esserci scambiati un'occhiata d'intesa.

Cosa dovevo ascoltare? E soprattutto cos'era che mi era sfuggito? Ad ogni modo iniziai a rilassarmi, rilassarmi sempre di più...

«Ascolta».

Tremai lievemente quando udii il suo mormorio basso inaspettatamente così vicino al mio orecchio, ma non riaprii gli occhi: volevo imprimermi la sua voce bene in mente.

«Ascolta tutto. Concentrati su ciò che senti».

Fin qui non era un problema.

«Lasciati andare. Rilassati», sussurrò. Il suo alito caldo, leggero e buonissimo tanto vicino da sfiorarmi la guancia.

Dio mio, ero in Paradiso.

«Per il momento non pensare».

Mi sentivo come intorpidita, piacevolmente intorpidita, quasi assonnata – come diamine faceva? – ma riuscii miracolosamente a ritrovare la voce e a formulare un pensiero coerente. «Ma ho paura».

«Di che cosa?».

«Dei cani randagi. Ancora... non riesco a capire come tu possa... startene così... tranquillo», mormorai, sempre più assonnata.

«Non si avvicineranno. Te lo prometto».

Non sapevo cosa potesse mai garantirgli quella certezza, ma gli credei. Lo guardai, incapace di resistere.

«Ah ah, non sbirciare».

Seppur a malincuore, richiusi gli occhi.

Le palpebre si fecero pesanti, sempre più pesanti... Non avrei mai creduto fosse possibile con lui così vicino.

Ogni suono si fece più nitido, fino il più debole e flebile. Udivo il vento quieto tra i fili d'erba e tra gli alberi; non solo in quelli che ci sovrastavano ma anche in quelli che ci circondavano: milioni e milioni di foglie che frusciavano dolcemente le une con le altre, leggere, fragili e tenaci.

Quasi riuscivo a cogliere l'impercettibile differenza di suono che proveniva da un albero all'altro. Sentivo il belare pacato degli animali che pascolavano a valle, gli uccellini nel bosco e sopra le nostre teste, tra cui cinque, no, sei crocieri.

Mi raffigurai questi in particolare, nella mia mente, con il loro luminoso piumaggio rosso-arancio, talvolta color mattone per i maschi e sgargiante giallo-verde per le femmine, le ali e la coda marrone più scuro così come intorno al becco e agli occhietti neri luccicanti. Mi erano sempre piaciuti. Da queste parti ce n'erano di più che in Inghilterra. Mi ero soffermata spesso a guardarli nei giorni addietro, anche durante il lungo viaggio che da Leicester mi aveva condotto fino qui. Il loro cinguettio sommesso mi solleticava piacevolmente le orecchie.

Mentre me ne stavo lì beata assaporai il profumo fresco, quasi dissetante della natura e il tocco tiepido di un raggio di sole che penetrava dalle fronde accarezzandomi il viso... poi udii il suono di un ruscello, anch'esso insospettato fino a pochi istanti prima, che scorreva da qualche parte sulla mia sinistra e dava l'impressione di fluire placido lungo valle. Ma, soprattutto, percepivo la fragranza aromatica, buona come il pane appena sfornato, e il respiro leggero di John vicino a me. Potevo quasi vedere a occhi chiusi il suo torace ampio che si sollevava e abbassava ritmicamente... Percepii il mio respiro e il battito stranamente tranquilli per avere quella divina compagnia così vicino.

L'amaca continuava ad oscillare lenta, cullandomi dolcemente.

Rimasi completamente assorbita da quella musica, rapita da quell'armonia meravigliosa.

Oltre il tempo - Parte prima - Volume 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora