Capitolo 28: "Dimmi la Verità"

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Andrew non aveva la benché minima idea cosa volesse dire 'lavorare in redazione'. Fin da quando ha fatto i primi passi nel mondo del giornalismo moderno, il giovane ha sempre lavorato da casa, seduto comodamente sul suo divano preferito, circondato da una calma apparente e con il solo rumore dei tasti a fargli da amico immaginario. Lavorare in un ufficio, invece, era tutto diverso. Non solo ci si poteva distrarre facilmente, la redazione di Vogue sembrava un porto di mare, ma Andrew si sentiva costantemente osservato, come se tutti, anche le stagiste del settore moda, lo guardassero con uno sguardo torvo ed indagatore.

Più volte infatti è andato nel panico durante la giornata, più volte è dovuto correre in bagno per sciacquarsi la faccia e recuperare le forze, più volte ha commesso errori nelle varie news che Alex gli affidato, più volte ha riscritto l'articolo su cui stava lavorando perché indeciso se il contenuto fosse in linea con le indicazioni editoriali, non riusciva ad essere sereno, non riusciva a vivere come avrebbe dovuto quella grande opportunità lavorativa. Si sentiva un inetto. Era il più giovane fra i vari reporter che c'erano in redazione, tutti sgobbavano sulle loro tastiere, sempre alla ricerca di una news prima degli altri, sempre con il telefono in mano, sempre a controllare la casella di posta, tutti erano dei ferventi articolisti, tutti furchè Andrew.

Per questo il ragazzo più e più volte è stato sovrastato dall'ansia e da un senso di oppressione. Si sentiva un inetto, si sentiva fuori posto, forse essere giornalista non era il suo destino. Inoltre ciò che lo faceva andare in bestia, nel vero senso del termine, era vedere Michael tutto preso dal suo lavoro, dalle sue ricerche, dal sorriso sardonico che aveva stampato in viso, come se l'attività redazionale di Vogue fosse scritta nel suo corredo genetico. "Ma anche io ho superato il colloquio" si ripeteva Andrew nel tentativo di farsi forza. Ma le continue correzioni da parte di Alex, gli sguardi vagamente compassionevoli di Michael, lo irritavano ancora di più.

La giornata fu uno strazio, un completo disastro, resa ancora più orribile dalla telefonata di Justin. Andare in centrale di polizia, cercare di mantenere la calma ed evitare che il suo segreto venisse allo scoperto, sarebbe stata l'impresa definitiva. La voce di Justin gli rimbombava nella mente, il tono dolce e carismatico con cui gli faceva battere il cuore, si era trasformato in un suono crudo, secco, quasi nervoso. Tutti gli scenari possibili ed immaginabili si aprivano nella fantasia di Andrew ed, ognuno di questi, era l'uno più disarmate dell'altro. Forse la polizia ha scoperto il cadavere di Enrik "E Justin vuole essere lui a rivelarmi l'accaduto" pensò fra sé e sé, oppure è successo dell'altro: "C'è un indiziato, un sospettato? Oppure ho commesso un passo falso?"

La fronte di Andrew era madida di sudore, nonostante in ufficio l'aria condizionata segnava ben 18 gradi. Era preoccupato, preoccupato che avrebbe perso la sua libertà, preoccupato che avrebbe perso l'abbraccio di Justin, preoccupato del fatto che, alla fin fine, nessuno avrebbe mai capito perché è stato costretto ad uccidere Enrik, uccidere suo fratello, uccidere quell'omofobo che in nessun modo riusciva a capire che non c'era nulla di male nell'essere gay. Il cuore batteva all'impazzata, non riusciva a scrivere parole sensate nell'ultimo articolo a cui stava lavorando, Andrew continuava a guardarsi intorno impanicato, con lo sguardo furtivo e, costantemente, cercava di impedire che le lacrime gli cadessero sul viso. Tutta la sua vita stava andando in frantumi.

Il telefono vicino al PC squillò improvvisamente. "Andrew, scusami. Potresti venire in attimo in ufficio?" era Alex che lo reclamava.

Andrew incrociò per un attimo lo sguardo di Michael, mentre si alzò dalla sedia. "Ma cosa vuoi? Perché mi fai l'occhiolino, è inutile che fai il carino con me" disse fra i meandri della sua mente mentre si recava nell'ufficio di Alex.

Forbidden LoveWhere stories live. Discover now