Partenza

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«Domani stesso.» disse Abel. «Domani stesso!» ripeté con più enfasi. «Non potevi darmi almeno un giorno in più?»

«Darci, amico mio.» lo corresse Wilhelm.

Mila sbuffò. «Quanto la fate lunga! Abbiamo già fatto le valigie, che altro ci serve?»

«Non so se te ne sei accorta, mia cara, ma non stiamo andando in gita! Stiamo per attraversare la Germania per andare in Polonia, precisamente ad Auschwitz.» bofonchiò Wilhelm.

«Lo so, lo so. Avete ragione. Scusatemi. Allora, che cosa ci serve?»

Si trovavano tutti e tre nella stanza di Wilhelm, che era piuttosto spoglia, ma era il luogo migliore per lavorare in pace. Nessuno sarebbe salito fin lì per disturbarli o controllarli.
Il ragazzo si accucciò ed allungò una mano sotto il letto da cui estrasse un fagotto dentro cui c'era una pistola, l'unica che aveva tenuto.
Ci era molto affezionato. Era l'arma che aveva utilizzato più volte quando era in pericolo e questa non aveva mai sbagliato un colpo.

«Oh mamma! Quella è una Walther P38!» esclamò eccitato Abel. «Aspetta. - alzò una mano - perché prendi una pistola?»

Wilhelm sorrise amaramente. «Si vede proprio che non sei mai stato al di fuori di queste mura, altrimenti sapresti quanti pericoli ci sono all'esterno.»

Mila allungò una mano. «Posso?»

Wilhelm la scaricò prima di passargliela. «Mi raccomando, fai attenzione.»

La ragazza se la rigirò tra le mani. «Wow. È così... Leggera. Scommetto che dev'essere una passeggiata centrare il bersaglio con una di queste.»

«Dici così perché non hai esperienza.» sorrise divertito Wilhelm, riprendendosi l'arma che ripose con cura nel fodero.

«Ragazzi, per favore, concentriamoci.» disse Abel sventolando una cartina. «Vi ho segnato le città che dovrete passare per arrivare più in fretta in Polonia. Tenete.» e così dicendo diede la cartina a Mila che la piegò in quattro e poi la mise nella borsa che aveva deciso di portare con sè. Era la più grande che aveva.

«I permessi? Chi li ha?» chiese la ragazza.

Wilhelm indicò una tasca della giacca. «Qui, al sicuro.»

Mila allungò una mano. «Meglio che li tenga io, mi sento più sicura ad averli.»

Il ragazzo roteò gli occhi al cielo, ma esaudì la sua richiesta. «Non ti fidi ancora di me, eh?»

«Al contrario, ma mi sento più sicura se ad avere il lasciapassare e i permessi sono io.» 

Abel si fermò. «State davvero per partire.» realizzò e quasi si commosse. Ce l'avevano fatta. Dopo tanti sforzi, avevano raggiunto il loro obiettivo.

«Sì, non mi sembra vero! Rivedrò la mia famiglia dopo due anni!» Mila salì in piedi sul letto di Wilhelm euforica.

«Non vorrei essere il guastafeste di turno, ma non cantiamo vittoria troppo presto. Non siamo neanche ancora partiti.» ci tenne a puntualizzare Wilhelm. Non voleva fare il pessimista, ma stentava a credere che ce l'avrebbero fatta.

———————

Era l'alba.
Mila e Wilhelm si trovavano già sulla soglia di casa, pronti a partire.
Avevano preso in prestito una delle tante auto che possedeva il Führer, ovviamente senza il suo permesso.
Abel li aiutò a sistemarsi. Era decisamente giù di morale.
Avrebbe rivisto i suoi amici? Sperava vivamente di sì, ma non ne era certo.

«Allora... Buona fortuna.» disse stringendo in un abbraccio prima Mila e poi Wilhelm che ricambiarono stringendolo forte.

«Non vedo l'ora di presentarti mamma, papà e soprattutto Hans!» sorrise felice lei, sempre più gioiosa ogni minuto che passava.

Abel fece un inchino. «Sarà un onore fare la loro conoscenza.» poi si rivolse a Wilhelm. «Mi raccomando, prenditi cura di lei.»

Il ragazzo annuì come se fosse un suo preciso compito e poi bisbigliò: «Hai fatto il calcolo delle probabilità?»

«Sì e... Meglio che non ti dica nulla.» abbassò lo sguardo Abel.

Mila, intanto, era già davanti alla portiera dell'auto. «Wilhelm, ti decidi a salire o no?»

 «Wilhelm, ti decidi a salire o no?»

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Abel si allontanò di poco. «Vi lascio partire. Arrivederci!» agitò la mano in segno di saluto mentre i due ragazzi salivano in auto.

Dopo aver messo in moto ed essere usciti dal cortile di casa Hitler, Wilhelm suonò il clacson a mo' di saluto.
Arrivederci, amici miei.

———————

Wilhelm stava guidando ormai da ore mentre Mila consultava la cartina stradale.
Per il momento avevano viaggiato tranquilli e si erano fermati solo una volta per riposare.
L'ex comandante era allo stremo delle forze poiché il sole picchiava e gli occhi iniziavano a dolere, ma non voleva darlo a vedere. Mila contava su di lui.

«Penso che arriveremo prima del previsto a destinazione, sai?»

Wilhelm guardò Mila per un attimo.
Era sempre ottimista, raramente si faceva prendere dallo sconforto ed era un bene, considerato che lui pensava sempre al negativo.
Preferì non rispondere all'affermazione della ragazza e mantenne lo sguardo fisso davanti a sé.
Secondo le informazioni contenute nei registri di Hitler, al confine con la Polonia ci doveva essere Hubermann, il generale che aveva preso il suo posto, colui che non aveva aspettato che un suo passo falso per subentrargli.
Non avrebbe reso loro le cose facili.

«Che hai?» Mila si voltò leggermente verso di lui. «Pensavo avessimo superato la fase del "non parlo e annuisco solamente".»

«Stavo pensando che non sarà facile valicare il confine della Germania. Non ci basterà solo il lasciapassare.»

«Ehi, dimentichi che io sono Mila Eva Hitler.» si indicò la ragazza sorridendo.

Wilhelm, però, non sorrideva.
La sua mente stava elaborando piani di emergenza diversi, nel caso la situazione precipitasse.

La figlia del FührerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora