capitolo 13

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I giorni passavano inesorabili. Il dottore diceva che fisicamente il suo corpo stava bene e non capiva il perché non si svegliasse. Anche la tac era positiva, quindi non avevano idea del perché non c'erano miglioramenti a livello cognitivo.

Io passavo tutti i giorni in ospedale, parlavo con lui, gli raccontavo cosa avevo visto in ospedale e delle novità che mi diceva Fede dall'università, gli leggevo dei libri e quando stavo ad attendere in sala d'attesa leggevo qualcosa per non tralasciare nulla degli studi.

Ormai tutte le infermiere mi conoscevano e mi chiamavano per nome, così mi permettevano di stare lì sia il giorno che la notte. In pratica vivevo in ospedale, scappavo a casa con la mamma di Riccardo che era di passaggio davanti casa mia, mi lasciava sotto casa, salivo, facevo una doccia veloce, mi cambiavo e scappavo giù, così ero già giù quando passava a prendermi per tornare in ospedale. Io però ci restavo fino al giorno dopo. Sapevano bene che se non fossero passati ci sarei andata comunque. E allora preferivano scarrozzarmi loro avanti e indietro.

In ospedale pensavo a cosa poter dire o fare per farlo reagire, ma non mi veniva nulla in mente. Gli raccontavo di noi dall'inizio, avevo provato perfino a mettergli le cuffiette all'orecchio e fargli sentire delle canzoni che per me erano importanti, ma nulla, non reagiva.

Era come se quella maledetta notte fosse entrato in un'altra dimensione, e io non riuscivo a riportarlo da me.

Mi faceva male essere impotente.

Una mattina mentre stavo dormicchiando sentii un rumore nella stanza, così aprii gli occhi sperando fosse lui, invece era l'infermiera che doveva lavarlo:

- Posso farlo io, per favore?

- Stasy io non so, non dovresti neppure essere qui, lo sai.

- Per favore fammi sentire utile, non so più che fare.

Mi misi a piangere, probabilmente si impietosì, e mi allungò la mano con la spugna:

- Ti spiego come fare, non dirlo a nessuno però perché rischio il posto.

- Te lo prometto, grazie.

Poi continuai:

- Francesca (così si chiamava l'infermiera) dimmi la verità, secondo te il mio Riccardo tornerà a sorridermi?

- Certo, sta' tranquilla per queste cose ci vuole tempo, a volte ci mettono più tempo i pazienti che non hanno nulla di grave che quelli che hanno grossi problemi.

- Grazie.

Un po' più serena anche se di poco, iniziammo a lavare il mio amore. Sentivo sincera Francesca e quindi mi aveva trasmesso un po' di serenità.

Quando i genitori di Riccardo arrivarono in ospedale, mi videro che stavo lavando il figlio, e i loro occhi diventarono lucidi. Io ero soddisfatta, stavo facendo qualcosa per lui, poi sua mamma iniziò a parlare:

- Non puoi passare tutte le notti qui.

- Sì che posso, non mi convincerete, avrò tempo di riposare quando lui sarà sveglio.

- Ma tesoro non vedi come ti sei smagrita?

- Fa nulla avrò tempo anche per prendere qualche chilo e comunque male non mi fa sicuro.

- Come credi.

Uscii un attimo mentre i suoi genitori erano con lui, andai al bagno, mi stavo lavando il viso e guardandomi allo specchio, vidi una me che non riconoscevo, i miei occhi erano spenti. Ora sapevo, capivo quanto male stesse Riccardo quando non poteva fare altro che vedermi con un altro. Ti senti vuota dentro, non puoi fare altro che vedere ciò che ti sta intorno, andare avanti e tu sei impotente.

Pettinai e legai i capelli, mi diedi una sistemata e tornai da Riccardo, nel frattempo era passata Fede per salutare il fratello, e poi sarebbero andati via per andare avanti con la loro vita.

La mia invece si era fermata quel 3 Gennaio notte, erano passati già cinque giorni, che però sembravano un'eternità. Quel giorno stavo poggiata col viso sulla mano di Riccardo, la tenevo con una mano e vi tenevo leggermente una guancia poggiata. Cominciai a dirgli:

- Ricordi... l'altro giorno ti ho detto che ti ho comprato un pensierino a Trapani, oggi l'ho portato perché volevo fartelo vedere, ma ti devi svegliare. Tu a Settembre mi hai mandato un regalo che per me non è solo bello, ma è ciò che tu provi per me. Lo so che soprattutto all'inizio tu eri di poche parole, e con quel gesto so che hai espresso molto più di ciò che avresti potuto dire. Comunque per quanto riguarda il tuo regalo posso solo dirti che anch'io ho fatto incidere qualcosa, una data ed una frase. Per quanto riguarda la data solo noi ne sappiamo il vero significato, almeno io lo so e sono sicura anche tu, è una frase che racchiude ciò che provo per te. Ah, la data è 16/12.

Appena finii di parlare sentii qualcosa, abbassai lo sguardo verso la sua mano e stava muovendo le dita. Ero al settimo cielo:

- Continua così amore mio.

Iniziai a suonare il campanello e subito corse l'infermiera, le spiegai cosa era successo e andò a chiamare il medico.

Il dottore entrò dentro e mi fece uscire, aspettavo con ansia che venissero fuori a dirmi come stava, e invece stranamente mi chiesero di entrare. Il medico mi chiese cosa fosse successo, glielo raccontai e mi chiese di riprovare davanti a lui, voleva constatare se fosse vero.

Mi avvicinai al letto, e iniziai a dire tenendogli la mano:

- Amore mio fai uno sforzo, lo so che mi senti, fai come prima, muovi le dita, fai vedere al dottore che ho detto la verità. Non vorrai farmi passare per bugiarda?

Sentendomi mosse di nuovo la mano, e questa volta pure il dottore l'aveva visto. Allora mi fece segno di continuare a parlargli:

- Tesoro devi aprire gli occhi, lo sai giorno 20 dovrei dare un esame, ma se tu sei ancora qui a dormire non lo farò, non voglio lasciarti. Apri gli occhi e torna da me, hai dormito abbastanza non credi?

Guardavo il dottore, e all'improvviso Riccardo iniziò a muovere le palpebre, non credevo ai miei occhi, si stava svegliando. Il dottore mi fece fare qualche passo indietro, allora dissi:

- Amore sono qui, il dottore deve visitarti.

Feci il giro e mi misi ai suoi piedi, ed ecco che Riccardo aprì gli occhi e mi guardò. Il cuore stava esultando di gioia, gli sorrisi per fargli capire che da quel momento in poi sarebbe andato tutto bene.

Nessuno dopo TeWhere stories live. Discover now