0. Prologue

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Non ricordavo quale fosse stata l'ultima volta in cui avevo avuto realmente tra le mani quelli che erano i miei valori.

Forse perché in me c'era un vuoto più grande della quantità di conflitti che il mio corpo fosse capace di contenere, o forse perché ogni cosa nella mia mente sembrava aver perso senso da un giorno all'altro, e niente era più capace di motivarmi come un tempo.  Mi verrebbe in mente, al giorno d'oggi, riflettendoci, di non aver mai avuto un chiaro equilibrio a cui far affidamento; allora, ancora non ero certo di questa verità.

Ricercavo coi miei occhi qualcosa che ad essi era invisibile, scavando nel vuoto, e continuavo a non sostenermi nel trovare coraggio e afferrare ciò che per le mie mani era solo sfuggente acqua liquida; la sensazione di non percepire più interamente il proprio corpo, ma il non possedere la voglia di prenderne atto.
Provavo timore, lì dentro al torace; uno spiacevole effetto provocato dal potere che l'ignoranza, in quanto all'oscuro delle cose e della ragione, era capace di causare alla mia mente dalle debolezze umane.

Non si è mai abbastanza maturi per la verità, e comprendere questo mi aveva fatto sentire con l'avanzare del tempo forse più scomodo di quanto stessi, nelle correnti di quello che non accettavo essere il mio fato.

Passato già molto tempo, sulla mia pelle rimanevano ancora quattro stagioni composte da riflessioni che non mi avrebbero portato a nessuna conclusione se non avessi finalmente deciso di guardare in faccia la realtà: nuda e cruda, ma ancor poco chiara ai miei occhi offuscati. Tra le labbra il sapore di un rimorso privo di coerenza e sulle spalle ogni ora trascorsa a dare via sempre più un qualcosa di me capace di assottigliarsi, fino a quasi scomparire: il buonsenso.
Non mi era concesso pretendere mi appartenesse, quando guardando l'orizzonte persino io stesso non avevo mai riconosciuto i miei sbagli in mezzo a tutte le nuvole grigie in cui si nascondevano i miei dubbi.

Crescita, dicono sia il nome di una lunga strada che prima o poi tutti percorreremo: la retta via in cui si trova un equilibrio in tutto ciò che ci circonda, o in cui almeno duramente ci si sente spronati ad accettare i dislivelli della vita.
Non mi ero mai reso conto di quanto il tragitto fosse lungo, e ciò che sembrava indebolire il mio coraggio era l'essere  già così totalmente conscio di ciò ancor prima di poterne vedere la fine, quel punto di incrocio in cui ogni uomo è uguale a qualsiasi altro, di fronte all'esperienza che lo oltrepassa negli anni.

Vulnerabile, differente... spaventato.

Le persone attorno a me mi rendono tale quando imparano a vociare su quanto tutto ciò possa essere difficile per ognuno di noi, perché la strada è tortuosa e gli obbiettivi potranno sempre sembrare irraggiungibili, finché continueremo a credere di dover strizzare gli occhi per fissare il punto più alto della salita.
Numerosi saranno gli ostacoli, ma noi stessi, la nostra più vera natura, resteremo sempre il più grande ed il più faticoso di tutti da affrontare, fino alla fine del percorso.

Ancora oggi sono tanti i punti di domanda che persistono nella mia mente, ma se c'è un qualcosa che in tutto ciò sono riuscito a comprendere è che, forse, dovrei imparare ad allacciarmi le scarpe...  prima di iniziare a camminare.

~

L'odore di nuvole pesantemente umide passate ore prima, che avevano lasciato posto ad un cielo grigio, acceso come il chiarore del ghiaccio, si prostituiva alle narici di tutti i cittadini coreani; l'asfalto pregno di scivolose sensazioni al contatto con la consumata suola delle scarpe, il pericolo di perdere l'equilibrio suggerito dall'audacia dei tacchi, la stoffa bagnata dei jeans ed il velluto degli abiti, dalle pieghe graziose, che fasciano la pallida pelle della silhouette come in un inquieto abbraccio.
Le luci fioche dei lampioni accesi, oramai imperlati di rugiada per le vie dei parchi nascosti dall'oscurità serale.

APNEA || Park JiminNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ