Impossible

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Lyn fa un respiro profondo prima di entrare nella stanza numero 227.

Si stacca dal muro – contro il quale è stata appoggiata per dieci minuti, con lo sguardo perso nel vuoto – abbassa la maniglia e apre la porta. Un turbine di emozioni la investono.

Paura. Conforto. Gratificazione di vederlo ancora lì, su quel letto, dove respira da solo senza l'aiuto dell'ossigeno e di qualche altro macchinario.

Le bende sono state quasi tutte tolte, ad eccezione di quella sulla gamba per via del ginocchio. I tagli e le ferite sono ancora visibili, lo saranno per un bel po', ma la cosa più rilevante è che la memoria non è stata compromessa. Ricorda tutto. Cecilia, America e lei.

Starà. Bene.

«Ciao.» lo saluta, non appena i suoi occhi incontrano il suo sguardo.

Zayn la guarda inespressivo e poi ricambia il saluto, che si sente a malapena, voltando il viso verso la finestra. Non è seccato di vederla, ma nemmeno così tanto felice: i medici hanno detto che è del tutto normale questo tipo di atteggiamento. Il chiudersi in sé stessi è, per il novanta percento dei casi, il passo successivo che segue il trauma subito.

Ma fa male lo stesso vederlo spento, vuoto. Quasi infastidito dalla sua stessa presenza.

Lyn nasconde la delusione con un sorriso forzato e si fa avanti, restando in piedi vicino alla fine del letto. Tiene la distanza, pensando – innocentemente – di fare la cosa più giusta.

«Come ti senti?»

Non le risponde.

Se pensava di aver trascorso le ore più brutte della sua vita in quei giorni, beh, si sbagliava di grosso. E solo adesso comprende a pieno il senso delle parole dei dottori, quando quel «il peggio deve ancora arrivare» che a lei, come a Cecilia, era scivolato semplicemente addosso.

Basta che si risvegli, poi supereremo tutto, si dicevano l'una con l'altra, dandosi forza a vicenda.

Le ferite più difficili da rimarginare non sono quelle visibili, in superficie, lo sapevano bene tutte e due. Ma averlo lì, sano e salvo, era l'unica cosa che veramente importava in quel primo momento.

«Vuoi andare fuori?» gli chiede, vedendolo ancora rivolto verso la finestra della stanza.

Rispondimi.

Parlami.

Dimmi qualcosa.

«Ti porto fuori, se vuoi. È una bella giornata, oggi.» ripete, appoggiandosi alle sbarre del letto.

Zayn rimane impassibile a quella proposta. Con la testa è da tutta un'altra parte.

Lyn apre di nuovo la bocca, ma poi la richiude, non sapendo cos'altro dire. Gli sarebbe restata accanto, sempre, anche se lui avrebbe continuato a ignorarla in quel modo, a non parlarle, a non guardarla più.

«Non voglio niente.» le risponde dopo un'infinità di secondi, minuti.

Non. Voglio. Niente.

Essere lasciato in pace: desidera solo questo, ma nessuno sembra abbastanza intelligente da arrivarci. Si toglie le coperte di dosso, intento a chiudersi in bagno. Lyn lo guarda con la coda dell'occhio e, quando lui prova ad alzare la gamba con il ginocchio fasciato, si protende in avanti.

Zayn alza lo sguardo e un senso di fastidio lo colpisce non appena vede le sue mani – esitanti – che hanno paura di toccarlo.

Non sono fatto di vetro, vorrebbe urlare.

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